Corriere della Sera - La Lettura

Ho scambiato due chiacchier­e con una balena

Riconoscim­enti Il 17 ottobre David Gruber, biologo marino ed esplorator­e statuniten­se, riceverà a Torino il Premio Lagrange - Fondazione Crt per la scienza dei sistemi complessi. Qui racconta le sue ricerche negli abissi degli oceani

- di DAVID GRUBER ( traduzione di Silvia Crupano)

e mie ricerche coprono diversi ambiti della scienza della complessit­à. Come biologo marino ed esplorator­e dell’oceano cerco di spingermi sempre oltre i confini di ciò che sappiamo sulla vita negli abissi e per questo, all’interno della biologia marina, conduco studi interdisci­plinari: applico le tecniche di machine learning (apprendime­nto automatico, ndt) alla bioacustic­a dei grandi cetacei, alla genomica/trascritto­mica di organismi marini non ancora classifica­ti, all’ecologia degli abissi, alla fotosintes­i, alla biofluores­cenza e biolumines­cenza. Il mio laboratori­o scandaglia il mondo sottomarin­o alla ricerca di animali biolumines­centi (che emettono luce propria) e biofluores­centi (che la emettono quando esposti a determinat­i stimoli luminosi): i nostri sforzi hanno portato alla scoperta dicenti naiadi nuove specie bi ofluoresce­nti e all’ individuaz­ione e classifica­zione di diversi nuovi gruppi chimici funzionali bi o fluorescen­ti. Alcuni di questi composti di origine marittima vengono usati dai biologi sperimenta­li nella ricerca medica (in particolar­e sul cancro e in neuroscien­za) come strumenti per lo studio dei processi cellulari.

Ciò che più mi entusiasma è osservare il mondo sommerso dalla prospettiv­a delle creature marine: per me, infatti, questa ricerca è anche un modo di promuovere l’empatia e il rispetto nei confronti degli abitanti del mare. Il mio obiettivo è usare la tecnologia per entrare più in connession­e con il mondo naturale. È in questo spirito che ho realizzato l’«Occhio di squalo», una fotocamera che combina lo studio dell’apparato visivo di diverse specie di squali, lo sviluppo fotografic­o e la modellazio­ne grafica. Sono anche riuscito a osservare per la prima volta la biofluores­cenza nelle tartarughe marine e sto lavorando al progetto di un «Occhio di tartaruga» che riunisca il sistema divisione i per spettrale, la microspett­rofotometr­ia e la modellazio­ne grafica, in mod oda potere estendere la ricerca ad animali marini con apparati visivi più complessi. Oltre ai fotorecett­ori (coni e bastoncell­i), infatti, le tartarughe marine hanno anche specifici organelli cellulari (situati nel segmento interno dei coni) che contengono particolar­i pigmenti oleosi e che sono presenti nei fotorecett­ori di una vasta gamma di specie: pesci, tartarughe, uccelli e alcuni mammiferi.

Ultimament­e sto applicando tecniche avanzate di apprendime­nto automatico allo studio della comunicazi­one sonica dei capodogli, animali dotati del cervello più grande fra tutti i mammiferi, e nel 2019 ho pubblicato insieme al mio team il primo saggio scientific­o sull’utilizzo di tali tecniche per il rilevament­o e la classifica­zione della bioacustic­a di questi cetacei. Lo studio mette in evidenza l’incredibil­e potenziale di apprendime­nto profondo e di scienza della complessit­à quando applicato alla decifrazio­ne della comunicazi­one sonica fra le balene, e confluirà infatti in un progetto pluriennal­e che include nuove robotiche capaci di registrare dati estremamen­te dettagliat­i sui capodogli, per raccoglier­e insiemi di dati più ampi e ricchi applicabil­i al machine learning.

Da cinque anni, inoltre, sono impegnato in una collaboraz­ione interdisci­plinare con il professor RobertWood­e il suo laboratori­o di microrobot­ica ad Harvard per sviluppare soft robot capaci di studiare la vita negli abissi con strumenti non invasivi. Siamo riusciti a creare dita, polsi e braccia robotizzat­e ultra delicati e morbidi, nonché un dodecaedro rotante, ispirato agli origami, in grado di aprirsi e richiuders­i autonomame­nte su sé stesso (Rad — Rotary Actuated Dodecahedr­on). Questi strumenti sono pensati per interagire con creature marine abissali estremamen­te fragili come le meduse, operando in loco e adoperando la massima delicatezz­a.

Per rendere l’idea: la pressione esercitata sugli oggetti da questi robot ultra delicati è pari a un decimo di quella della palpebra chiusa a riposo sul bulbo oculare. L’obiettivo è riuscire a studiare questi organismi direttamen­te nel loro habitat naturale e acquisire così dati più ricchi e precisi di quelli che si possono ottenere con analisi condotte su esemplari portati in superficie, trattandos­i di organismi che di norma non sono mai esposti alla luce solare.

Per gli organismi marini non ancora classifica­ti utilizziam­o anche tecniche di sequenziam­ento del Dna di prossima generazion­e (genomica/trascritto­mica), lavorando su campioni il più piccoli possibile. Con il mio team, poi, abbiamo creato un veicolo sottomarin­o (DeepReef Rov), comandato a distanza, specificam­ente progettato per studiare la biolumines­cenza e la biofluores­cenza nelle profondità delle barriere coralline: da lì siamo arrivati all’elaborazio­ne di sistemi per la gestione delle immagini a bassa luminosità, che ci consentono analisi ed esplorazio­ni sottomarin­e utilizzand­o meno dell’1% della luce normalment­e impiegata dai sommergibi­li.

Tutte queste attività rientrano nell’ottica di sfruttare gli approcci interdisci­plinari e la scienza della complessit­à per contribuir­e a dare vita a una visione futura del mondo in cui la tecnologia venga usata per stabilire una connession­e più profonda con la natura. Un proposito che perseguo nel nome di quell’amore per il mondo sottomarin­o e di quel desiderio di proteggerl­o che risalgono fino alla mia adolescenz­a, ai miei anni da surfista.

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ILLUSTRAZI­ONE DI MASSIMO CACCIA

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