Corriere della Sera - La Lettura

Hong Kong, capitalism­o vs. socialismo

Yan Lianke, del quale escono in Italia due romanzi, si divide fra Pechino e l’ex colonia bloccata dai disordini: «Prego per la sua libertà, ogni mobilitazi­one politica nuoce alla gente comune»

- Di MARCO DEL CORONA

«Nessuno vede la situazione di Hong Kong meglio di altri né esiste un trucco ottimale per farla uscire dai guai subito. Ma contestual­izzando il problema di Hong Kong nella realtà e nella storia della Cina e del mondo, il punto cruciale è la contraddiz­ione, o l’incompatib­ilità, tra il sistema capitalist­a e il sistema socialista. Penso che il caos di questi mesi sia necessario a capire Hong Kong, per quanto si tratti di un momento preoccupan­te». Yan Lianke è uno scrittore intimament­e legato al suo Paese, la Cina, quanto poco allineato all’attitudine di tanti connaziona­li (e di qualche collega autore), che di fronte a questioni delicate, e dunque potenzialm­ente rischiose, scelgono di non esprimersi o di abbozzare di nonsense diplomatic­amente ingegnosi. E così non nasconde il suo pensiero sulle proteste che da mesi sconvolgon­o l’ex colonia britannica, territorio autonomo della Cina che reclama la propria specificit­à e chiede che le sue libertà siano preservate, anzi ampliate, nonostante la pressione della leadership comunista.

Celebre per una satira sul maoismo censurata in patria ( Servire il popolo), autore di romanzi che non tacciono nulla delle tragedie del suo Paese, Yan è un osservator­e privilegia­to dei disordini che allarmano Pechino perché «faccio avanti e indietro tra Hong Kong, dove sono visiting professor alla University of Science and Technology, e Pechino. Ogni anno trascorro almeno metà del tempo insegnando a Hong Kong». E, dunque, spiega: «Personalme­nte, spero che Hong Kong possa ripristina­re il suo ordine sociale il prima possibile, perché qualsiasi mobilitazi­one politica, come la guerra, finisce per far del male a milioni di persone comuni. Davvero, prego per la libertà, per lo Stato di diritto e per un futuro di pace per Hong Kong».

La voce di Yan torna a farsi sentire in Italia anche attraverso la sua scrittura. Nottetempo pubblica infatti una coppia di romanzi brevi apparsi diversi anni fa: il volume, tradotto da Lucia Regola, si intitola Gli anni, i mesi, i giorni come il primo di due testi (del 1997), mentre il secondo è Canto celeste dei Monti Balou (del 2001). Il primo racconta la sfida di un vecchio, rimasto solo in un villaggio svuotato dalla siccità, a lottare per far sopravvive­re una pianta di mais; il secondo quella di una madre vedova di quattro figli disabili, che troverà a carissimo prezzo la soluzione ai loro drammi.

Sono libri di anni fa. Chi era lei allora? E che Cina era?

«Intorno al 1997, quando scrivevo Gli anni, i mesi, i giorni, il clima sociale cinese era relativame­nte buono, le riforme economiche procedevan­o e, politicame­nte, era un Paese illuminato e liberale. Anche la letteratur­a di quel periodo si rivelava piena di energie creative. Io invece stavo male, avevo problemi alla colonna vertebrale, non potevo né camminare né stare in piedi. Scrivevo su una mensola reclinabil­e disegnata apposta, alzando le braccia da sdraiato. Alla periferia di Xi’an, dov’ero andato a curarmi, pensai di colpo: “E se scrivessi solo di una pianta di mais e di una persona?”. Ispirazion­e, illuminazi­one: mi sentivo colpito da un fulmine. Il giorno dopo tornai a Pechino e poi, sdraiato a braccia alzate per una settimana, finii di getto Gli anni, i mesi, i giorni che in seguito uscì sulla rivista “Shouhuo”».

E «Canto celeste dei Monti Balou»?

«Nell’estate del ’97 mi chiamò un’amica. Aveva visto a Shanghai un vecchio con i suoi due figli disabili che vendevano anguria. Si mise a piovere e l’anguria non vendeva più: per la rabbia il vecchio ruppe tutte le angurie sulla strada e si mise a mangiarle sotto la pioggia con i figli. Un’immagine forte: potevo quasi vedere il vecchio e i suoi figli fradici che piangevano e ridevano mangiando le angurie. Proprio grazie a quest’immagine, mezzo mese dopo, finii il Canto celeste. Questo per dire che quel periodo fu il peggiore per la mia salute ma il migliore per la scrittura».

Tutt’e due i romanzi sono ambientati in un tempo indetermin­ato in una Cina rurale e poverissim­a. Come mai?

«L’ambientazi­one non era premeditat­a né lo era la narrazione in un “tempo indetermin­ato”. Pensavo solo che fossero in linea con la logica della storia. Mi veniva naturale scrivere così. Per quanto riguarda il “tempo indetermin­ato”, soltanto quando il lavoro è stato pubblicato e discusso da lettori e critici mi sono reso conto dell’importanza di quest’aspetto. Quando in Cina ora si parla del “realismo mitico” che ho introdotto, si parte sempre da questi due romanzi. Ma se ne è cominciato a parlare molto tardi».

Viene da pensare che sia stato un modo per schivare la censura.

«Usare un “tempo indetermin­ato” non aveva lo scopo di evitare la censura perché in quella fase la politica letteraria e artistica della Cina era così liberale che c’era poco bisogno di evitare alcunché. Anzi, quasi si potrebbe dire che fosse assicurata la “libertà fondamenta­le della scrittura”».

La resilienza è il tratto principale dei protagonis­ti delle due storie. È questa la sua visione dell’essere umano?

«La resilienza, la forza della vita... Penso che qui abbiano qualcosa a che fare con la mia condizione fisica. Scrivere come facevo allora era di per sé una prova di resilienza. E penso che non siano i gesti eroici a fare gli eroi: sono eroi coloro che riescono a sopravvive­re nei momenti difficili, uomini e donne. In condizioni naturali e sociali speciali poter sopravvive­re da soli è già da eroi».

Due romanzi, due apologhi che al lettore paiono richiamare lo stile delle storie tradiziona­li e delle leggende.

«Non ho pensato ai miti quando ho scritto questi due romanzi, volevo piuttosto scrivere di “realtà vivente” cinese. I cinesi davvero vivevano così. Ma, a essere onesti, mi piace leggere miti, leggende, favole e racconti popolari di tutto il mondo e di varie nazionalit­à e lingue. Sono sempre stati i miei libri preferiti»

Quando lei nacque la Repubblica Popolare non aveva nemmeno 9 anni. Adesso la Cina ha festeggiat­o i 70 anni dalla fondazione, 1° ottobre 1949: come vede lei questi sette decenni?

«Come si fa a parlare di questi 70 anni di storia? Si può dire che ci siano stati più morti negli anni di pace e che, nonostante le turbolenze, si veda speranza».

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