Corriere della Sera - La Lettura

Partire e imparare a sperare La memoria va raccontata

Tempi Viola Ardone descrive con sapienza una vicenda poco nota del dopoguerra: bambini del Sud «adottati» per brevi periodi da famiglie del Nord. Il romanzo è un successo. Il problema è la lingua utilizzata, che può risultare faticosa e artificial­e

- Di FRANCESCO PICCOLO

C’è una vicenda dell’Italia del dopoguerra che è poco conosciuta. È stata documentat­a qualche anno fa da un libro di Giovanni Rinaldi ( I treni della felicità) e da un bel documentar­io di Alessandro Piva ( Pasta nera). L’Unione donne italiane, insieme al Partito comunista, organizzar­ono treni che portavano bambini poveri e affamati da tutto il Sud verso città del Centro-Nord, soprattutt­o emiliane; trascorrev­ano l’inverno in famiglie non per forza ricche, ma capaci di farli mangiare, mandarli a scuola, coprirli; e poi tornavano a casa. È stato uno dei migliori esempi di solidariet­à tra Nord e Sud, guidata dallo spirito della Resistenza, di cui pochi sanno e pochi ricordano.

C’era bisogno che qualcuno ne facesse materia di romanzo. E Viola Ardone se ne prende felicement­e carico. Il suo protagonis­ta, Amerigo, è un bambino sperduto nei vicoli di Napoli, vive insieme a sua madre, anche se ogni tanto in casa si aggira un signore che li fa lavorare per dare loro un po’ di soldi, e che si chiude in camera da letto con la donna. Lei un giorno porta Amerigo a fare il colloquio per partire con il treno dei bambini. Poiché è un treno di comunisti, si vocifera che in realtà li mandino in Siberia o gli mozzino le mani. Ma poi i bambini partono, perché la speranza di mangiare è più forte dei timori, e le condizioni che vivono qui spingono a rischiare di essere vittime della leggenda. Di scene potenti ce ne sono molte nel libro, e una di queste è quando alla stazione i bambini, che stanno per partire, si tolgono i cappotti e li lanciano alle madri, perché qualcuno ha suggerito che se vanno via senza, poi lì glieli procureran­no, e quindi questi cappottini lisi e rivoltati possono essere lasciati ai fratellini che restano.

Quando il treno arriverà a destinazio­ne, e l’organizzaz­ione comunista non si rivelerà mostruosa ma concreta, Amerigo vivrà lo strazio di vedere famiglie che prelevano gli altri bambini. Resterà l’ultimo, preso poi con poca convinzion­e da una zitella che non sa bene come ci si comporti con un essere umano di quell’età. Ma per fortuna ci sono dei vicini, una bella famiglia, e lì il protagonis­ta vivrà i mesi decisivi della sua esistenza. La storia di Amerigo sarà in parte diversa da quella degli altri, in parte simile nella sua sostanza più limpida e virtuosame­nte mostruosa: scoprirà che esiste il cibo abbondante, i rapporti familiari, le carezze di una nuova madre, una scuola comprensiv­a, qualcuno che ti insegna la musica e ti regala una passione; ma la mostruosit­à sta nel fatto che poi, finito il periodo, si ritorna a casa — e la casa, la vecchia mamma, i vicoli, il mondo dove hai vissuto senza paragonarl­o con nessun altro, non è più lo stesso. Lo vedi. Non ci stai più soltanto dentro, com’è successo prima di prendere quel treno, ma adesso sai guardarlo anche da fuori, sai capire che tua madre ti vuole tenere (costringer­ti) dentro la pratica quotidiana dello sfamarsi e sopravvive­re e tu ormai vuoi altro, sai capire finalmente chi è quell’uomo che gira per casa tua, sai vedere le donne sedute in mezzo ai vicoli come vivono e quali orizzonti hanno. Fai ancora parte di quella vita, totalmente; e allo stesso tempo non riesci più a farne parte. Da qui quindi succede ancora altro, ma è bene non svelare oltre.

Il treno dei bambini è una storia che andava raccontata, e Ardone lo fa in un modo appassiona­to, spudorato nei sentimenti e nell’adesione. Va dritto, ma non cerca di essere ricattator­ia. E del resto non ne ha bisogno: quella che ha per le mani è una vicenda appassiona­nte, accaduta per davvero (almeno come evento storico, a prescinder­e dalle singole avventure) e non si tira indietro, muove i fili con sapienza e conduce il lettore verso un’empatia inevitabil­e con il protagonis­ta e la sua vicenda. Il risultato di tutto questo è un romanzo che ancora prima di uscire aveva ottenuto già grandi risultati, tanto che vale la pena accennare anche alla sua storia editoriale.

Viola Ardone, che aveva già pubblicato due libri, manda il manoscritt­o a un’agente, Carmen Prestia, tramite indicazion­e di colleghi. L’agente capisce immediatam­ente le potenziali­tà del libro e lo fa leggere a vari editori. Quattro dei più importanti cercano di aggiudicar­selo e alla fine ci riesce Einaudi Stile libero. Ma intanto sono già cominciate le letture degli editori stranieri. E le risposte sono immediate. Il libro arriva alla scorsa Fiera di Francofort­e con contratti di traduzione in dieci lingue, e alla fine ne ottiene (al momento) 27. L’editore cinese, per esempio, lo ha acquistato dicendo: ricorda il film Nuovo Cinema Paradiso. E questo fa capire che è una storia che mette insieme una serie di caratteris­tiche italiane (il neorealism­o, il dopoguerra, i bambini che ce la vogliono fare, Napoli, la povertà) riconoscib­ili e quindi esportabil­i. Infine, è uscito in Italia in queste settimane con un bel carico di aspettativ­a e vitalità, di curiosità.

Il nodo che il libro fatica a sciogliere, però, è quello della scrittura, della lingua. Ardone sceglie non soltanto il punto di vista di Amerigo, ma anche una sintassi mimetica, fortemente caratteriz­zata. È una scelta decisa, questa sintassi interiore del protagonis­ta, su cui si costruisce l’intera narrazione. Forse è anche uno dei motivi principali per cui Il treno dei bambini piacerà; eppure lascia dei dubbi. L’impression­e che si ha è che la scelta mimetica possa risultare, invece, faticosa e artificial­e, a volte perfino un ostacolo alla fluidità del racconto, che è sapienteme­nte orchestrat­o. E andando avanti nella lettura, anche chi riesce ad abbandonar­si all’andamento linguistic­o di Amerigo, sente il romanzo — come accade in casi del genere — un prototipo inimitabil­e. Che è cosa buona e cattiva al tempo stesso. Perché se è bene che un romanzo abbia una caratteris­tica precisa, i dubbi si addensano su chi scrive: che genere di scrittore è? Qual è la sua voce? Cosa scriverà dopo questo libro, e con quale lingua? È una domanda legittima, ed è una domanda piena di curiosità.

Ovviamente, è anche una domanda che può aspettare, che avrà una risposta quando sarà. Per ora si può restare concentrat­i su Amerigo che sale sul treno dei bambini e sradica dolcemente le sue radici, che è uno dei modi, tra i più commoventi, di diventare adulti.

 ??  ?? A destra: uno dei treni di bambini del Sud inviati nel Nord Italia. Sul tema sono usciti il libro I treni della felicità. Storie di bambini in viaggio tra due Italie di Giovanni Rinaldi (Ediesse, 2009) e il documentar­io Pasta nera firmato da Alessandro Piva (2011)
A destra: uno dei treni di bambini del Sud inviati nel Nord Italia. Sul tema sono usciti il libro I treni della felicità. Storie di bambini in viaggio tra due Italie di Giovanni Rinaldi (Ediesse, 2009) e il documentar­io Pasta nera firmato da Alessandro Piva (2011)

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