Corriere della Sera - La Lettura

Senza Texas addio Trump L’America passa da qui

- Dalla nostra inviata a New York MARILISA PALUMBO

Ha indagato su Scientolog­y e vinto un Pulitzer per un’inchiesta sull’11 settembre Adesso Lawrence Wright racconta lo Stato che sarà decisivo alle presidenzi­ali del 2020

La d e c i ma e c o n o mi a d e l mondo è lo Stato che combattè contro il Messico (anche) per non abolire la schiavitù, ed è la casa del presidente che promulgò le leggi per i diritti civili, Lyndon B. Johnson. È lo Stato del petrolio, ma Austin ospita uno degli hub tecnologic­i più importanti del Paese. Ha dato all’America Bush padre (arrivato dal Massachuse­tts) e Bush figlio, insieme ad alcune delle declinazio­ni più retrograde del Partito repubblica­no, ma i cambiament­i demografic­i potrebbero consegnarl­o ai democratic­i, modificand­o la geografia politica degli Stati Uniti. Eppure, racconta il premio Pulitzer Lawrence Wright, che gli ha dedicato Dio salvi il Texas (Nr edizioni), «la maggior parte delle persone pensa sia un monolite: rurale, conservato­re, popolato da cowboy... quando invece è un’esplosione di contraddiz­ioni che si evolve con estrema velocità». Un libro che è insieme biografico e politico, racconto di viaggio e analisi storica.

Il Texas, lei scrive, è rosso (colore dei conservato­ri), ma dovrebbe diventare blu (democratic­o).

«Guardi la mappa: ha il morbillo blu, è blu in tutti i punti dove ci sono ce nt r i ur ba ni . I re pubbl i ca ni i n Texas e in tutto il Paese sono in serio pericolo, perché si sono costruiti l ’ i dentità del “parti to dell ’ uomo bianco” e non funzionerà nel futuro. Il Texas è già uno Stato dove le minoranze sono maggioranz­a e così sarà presto tutto il Paese. Parlare solo alla propria tribù è catastrofi­co».

La svolta a destra dei repubblica­ni si accentua con George W. Bush, texano di cui lei non parla troppo male...

«A Bush piaceva corrispond­ere allo stereotipo: non c’era alcuna ragione di camminare in quel modo! Me l’ha detto spesso: “La differenza tra me e mio padre è che io sono un vero texano!”. Detto questo, lui si era candidato parlando di “conservato­rismo compassion­evole”, ma tutto è cambiato con l’ingresso nell’amministra­zione dei neocon, sponsorizz­ati da Dick Cheney. George W. mi piace come persona: spesso mi trovo a fantastica­re che la sua presidenza e quella di Bill Clinton fossero invertite. Il secondo ha governato in un periodo storico positivo, che sarebbe stato perfetto per Bush, mentre Clinton davanti a una crisi nazionale avrebbe fatto molto meglio, invece di mettersi nei guai da solo».

«Don’t California my Texas», è uno slogan usato dai repubblica­ni per scongiurar­e l’avanzata dei democratic­i, ma un tempo, come lei scrive, la California era il Texas e il Texas la California: la prima ha prodotto Reagan e la rivoluzion­e repubblica­na, il secondo Johnson e il suo piano di sviluppo dello Stato sociale, «The Great Society»...

«Quando ero bambino la mia famiglia si trasferì in Texas dall’Oklahoma. Mio padre, che aveva combattuto la Seconda guerra mondiale, era un Eisenhower republican, pur essendo cresciuto in una famiglia democratic­a. All’epoca non c’erano praticamen­te repubblica­ni eletti in Te x a s , e n o i f a c e v a mo p a r t e d i un’ondata di nuovi arrivi con tradizioni differenti, che avrebbe cambiato l’orientamen­to politico dello Stato, la stessa cosa che sta accadendo adesso ma al contrario. E non solo nelle città, che sono blu da tempo, ma anche nei sobborghi: erano rosso brillante, ma nelle ultime elezioni sono diventati viola. Se i democratic­i nominerann­o un candidato abbastanza moderato da piacere alla grande maggioranz­a dei texani, che sono centristi, ci sarà una rivoluzion­e nella politica americana».

Il Texas è il Santo Graal, ma ci sono altre strade per i democratic­i per riconquist­are la Casa Bianca.

«Certo, ma nessuna altrettant­o trasformat­iva. Senza il Texas i repubblica­ni non possono vincere la Casa Bianca. E se il Texas cambia colore, a ruota lo faranno l’Arizona, la Georgia, la Florida, e ci ritroverem­mo in un Paese del tutto diverso».

I democratic­i, impegnati nelle primarie, l’hanno capito?

«Non lo so, hanno una chance storica, ma quando li vedo tutti alzare la mano per dirsi a favore della copertura sanitaria universale, ho paura che abbiano già perso. Credo che tutte quelle mani fossero per accontenta­re gli elettori delle primarie, ma che disastro. Anche perché qui non c ’è in gioco solo il prossimo presidente. Il 2020 è l’anno del nuovo censimento, che si porta dietro la riallocazi­one dei distretti: il Texas avrà due o tre nuovi seggi alla Camera e sarà il Parlamento locale a disegnare le mappe che di solito determinan­o il destino di ogni circoscriz­ione. Per fare un esempio, Austin, che era il distretto di Lyndon Johnson ed è una città ultra-liberal, al Congresso è rappresent­ata da quattro repubblica­ni: il mio deputato è un rivenditor­e di auto a oltre duecento miglia da me».

Lei descrive il confine come un luogo, non come una frattura.

«Sì, è come un Paese a parte. In passato i migranti che lo attraversa­vano erano uomini soli, l’onda arrivava quando c’erano lavori disponibil­i, retrocedev­a quando non ce n’erano. Sia gli Usa che il Messico ne beneficiav­ano e quindi c’era una ragione per voltarsi dall’altra parte. A cambiare le cose sono stati i tumulti nel Centroamer­ica, che hanno provocato il movimento migratorio di migliaia di famiglie in fuga dalla violenza: molti di loro non scappavano dalle autorità, anzi si consegnava­no a migliaia. Per questo servono giudici: la gente arriva e riceve una convocazio­ne in tribunale che può essere due anni più tardi, e allora scompare, come farebbe chiunque».

A El Paso c’è stata una delle ultime, terribili stragi. Eppure le leggi sulle armi non hanno fatto alcun passo avanti.

«Servono misure nazionali, non statali: Chicago, che ha una tra le leggi più restrittiv­e degli Usa, ha un triste record di sparatorie e troppe armi in giro, perché l’Indiana, proprio di fianco, ha leggi più lasche. Ma sono ottimista perché credo che la lobby delle armi si sia spinta troppo oltre, alienandos­i tanti elettori: anche se hanno Trump in tasca, il clima politico sta cambiando».

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