Corriere della Sera - La Lettura
Una tragedia musicale al confine messicano
Attualità Prima del muro e prima di Trump, lo spagnolo Juan Carlos Rubio ha scritto «Arizona». È la storia di una coppia della milizia civile chiamata da Bush a controllare la frontiera degli Stati Uniti. Ora debutta a Bologna
Mentre Donald Trump, più astuto del Coyote dei memorabili cartoon, pensa a profonde trincee con serpenti e coccodrilli per controllare il muro che separa il Messico dalla patria yankee, un autore spagnolo, Juan Carlos Rubio, ha scritto una «tragedia musicale americana» dal titolo Arizona che si appresta a debuttare a Bologna.
Fatti e pensieri accadono in un deserto. Un uomo e una donna, marito e moglie, che si accampano. Pochi oggetti, bottigliette di plastica, mazze da golf, un tavolino, la torta di mirtilli, i numeri del «Reader’s Digest» da ripassare per i vuoti di memoria, una coperta: un mare di sabbia e la linea dell’orizzonte. Se Samuel Beckett avesse mai pensato a un western sarebbe cominciato così. Ma i due non sono gente normale in vacanza, fanno parte del progetto di milizia civile selezionata dal governo Bush Minute Man per difendere gli yankees dai vicini del Sud.
«Era il 2005 quando lessi su un giornale — spiega l’autore a “la Lettura” — che gruppi di civili americani sorvegliavano il confine per impedire il passaggio ai cittadini messicani. Sollevare un muro era a quel punto solo una questione di tempo». Perché «tragedia musicale americana»? «In genere si dice commedia musicale ma faccio un gioco di parole macabro». Eppure la musica c’è, dalla radio e nei ricordi: lei, Margaret, ha il mito di Julie Andrews e canta i song di Tutti insieme appassionatamente. «Per me — continua Rubio — la Andrews è la quintessenza della commedia musicale e in quel film combatte contro ogni tipo di avversità e non perde mai gentilezza ed energia. E la famiglia von Trapp deve anche fuggire dal proprio Paese, attraversare il confine per cercare rifugio. Mi sembrava un parallelismo simbolico».
In una prima versione del testo, premiato e rappresentato anche nella tana del lupo, a Miami, a Chicago e perfino in Texas, sembrava che tutto avvenisse in uno studio tv, fra le virgolette organizzate della finzione.
«Ho preferito allontanarmi da ogni convenzione di spettacolo — dice Fabrizio Falco, protagonista con Laura Marinoni e anche regista dello spettacolo — stare a sorvegliare il reale, dare visibilità a personaggi che sembrano assurdi masonoveri, si organizzavano con auto e provviste nel deserto. Ci sono video e documenti. Credo che dentro al testo ci sia anche una spinta passionale, molto romanticismo. Vorrei chela follia fosse credibile: mi ispiro nel look al Grande Le
bowski e nell’ideologia a Edward Norton in American History X ».
Il testo di Rubio è del 2005: è stato un profeta rispetto al muro di Trump e al rigurgito di intolleranza nella tragedia dei migranti. E oggi? «Sfortunatamente nulla è cambiato. Direi perfino che le cose sono peggiorate. Sono passati 15 anni. Gli autori, come tutti, sono in continua evoluzione, quindi immagino che se dovessi riscrivere la commedia oggi sarebbe diversa».
Serpeggia nel lungo dialogo tra i due protagonisti un umorismo nero, sono sempre sull’orlo dell’abisso, la disperazione fa sorridere. «Ma lei non è una stupida», la difende la Marinoni, che passa dall’acqua in cui era immersa la sua Elena a Siracusa alla sabbia: «È una donna infelice che ha dovuto subire il potere del marito ma sotto sotto ci sono una poesia e una verità, lei ha la forza di dubitare e allora arriva la ragione, chiede la verità su un passo della Bibbia. Sono religiosi osservanti, ma eliminare l’umanità dal cuore è una cosa terribile, nessuno ha licenza di uccidere così, senza ragione, un puntino all’orizzonte che si rivela poi essere un bambino, con l’alibi governativo della difesa personale».
I diversi, i migranti, come li può aiutare il teatro? Molti registi scelgono di parlarne: Milo Rau, Ostermeier, Ricci e Forte con il loro Nabucco. Ancora Rubio: «Il teatro è specchio che riflette le preoccupazioni e i problemi della società. Il fenomeno dei migranti coinvolge molti Paesi. La domanda che dobbiamo porci è perché queste persone hanno dovuto lasciare il loro Paese». L’hanno applaudita ovunque? «In tutti i Paesi, finora una dozzina, il testo è stato accolto calorosamente dal pubblico e dalla critica».
Il finale dello spettacolo non promette niente di buono. E Rubio risponde con una frase che tante volte si sentiva nei vecchi western di Ford: «La violenza genera solo violenza. Il dialogo, l’empatia con l’altro, la consapevolezza dei terribili problemi che affliggono il mondo e che sono germe e causa delle migrazioni, sono gli unici modi per impedire alla realtà di finire in tragedia».
Ci sono tutti gli elementi per farne un film: lei di chi si fiderebbe? «I miei registi ideali sarebbero i Coen, Tarantino o Bernabé Rico». Si parla molto del possesso delle armi: anche in Arizona un fucile non manca mai. «La cultura delle armi è s to r i camente i nstal l at a nell a s ociet à americana. Sfortunatamente George e Margaret continueranno a esistere, il pubblico deve solo ascoltarli, posizionarsi ideologicamente e trarre le proprie conclusioni». Soli nella sabbia, a parlare di cose quotidiane, con la radio che inietta un’aria colorata da musical: sembra che siano i «giorni felici» di una coppia. «Ciascuno dei miei testi esplora drammaturgie diverse, con toni e stili diversi. Incornicerei Arizona nella mia linea più contemporanea e rischiosa». Come è sentito in Spagna il tema dei migranti? «Come in Italia: è una questione di grande preoccupazione e spero che i nostri governi la possano affrontare in modo umano». Però i muri ci sono e per uno famoso che cade, altri tre sorgono. «I muri possono essere abbattuti solo se smettiamo di avere paura dell’ignoto».