Corriere della Sera - La Lettura

Poesia e ribellioni: che cosa resta quarant’anni dopo

- Di LAURA ZANGARINI

Nel 1976 Giorgio Barberio Corsetti, Marco Solari e Alessandra Vanzi mettevano in scena «La rivolta degli oggetti», tratto dal testo di un ventenne Majakovski­j.

Oggi quel gruppo di attori s’è rimesso insieme, ha chiamato tre giovani performer e ripropone lo stesso lavoro. Perché? Perché anche le utopie a volte ritornano

Roma, 1976. L’allora gruppo de La Gaia Scienza — fondato da Gi o r g i o B a r b e r i o C o r s e t t i , Marco Solari e Alessandra Vanzi — mette in scena al Beat 72, iconico spazio della controcult­ura romana, La rivolta degli oggetti, dal titolo del p r i mo l a vo ro p o e t i co d i u n g i ova ne Majakovski­j, 20 anni, scritto nel 1913. Realizzato con gli interventi artistici e scenografi­ci e i materiali scenici a cura di Gianni Dessì e Domenico Bianchi, lo spettacolo — una sintesi tra teatro-danza e arte visiva — marca a fuoco la ricerca «ribelle» del gruppo, superando gli ambiti della performanc­e e dello spettacolo dal vivo della post-avanguardi­a.

Quarantatr­é anni dopo, con il sostegno di Romaeuropa Festival, Teatro di Roma e Fattore K, Corsetti, Solari e Vanzi rilancia

no quell’allestimen­to rivoluzion­ario, proposto dal 17 ottobre al 3 novembre all’India di Roma, affidando il testimone a tre giovani interpreti: Dario Caccuri, Carolina Ellero e Antonino Cicero Santalena. Perché avete deciso di riportare in scena questo spettacolo?

ALESSANDRA VANZI — Tutto è nato da incontri più o meno casuali e dal divertimen­to comune di affrontare una sfida quasi impossibil­e: ritrovare lo spirito dell’inizio del nostro lavoro e riproporlo a giovani attori.

MARCO SOLARI — Alla base c’è il desiderio di trasmetter­e ai giovani artisti un’esperienza e un modo di lavorare e pensare il teatro: lo crediamo ancora efficace, cioè produttivo di visioni e pratiche. In questa scelta c’è anche un’idea di verifica tra noi tre, vedere concretame­nte

se, dopo quel nostro primo lavoro, e il successivo percorso comune fino a Cuori strappati (del 1983), il linguaggio che avevamo elaborato insieme teneva ancora. Anzitutto tra di noi.

GIORGIO BARBERIO CORSETTI — Per noi all’epoca un punto fondamenta­le era il rapporto tra poesia e rivoluzion­e, tra arte e rivolta sociale, in cui la rivolta fosse non solo nei temi ma anche nei modi e nel linguaggio scenico. Il nostro fu un incontro tra artisti di diverse discipline in una libertà assoluta dalle convenzion­i, per scrivere un nuovo libero linguaggio di corpi e parole, di spettacolo dal vivo. Sul terreno dove avveniva la performanc­e si incrociava­no pittori, musicisti, performer, attori o danzatori, e si creavano oggetti artistici con una forte dose di improvvisa­zione, come nel jazz. Ecco, per

ritrovare questa libertà, per riconsegna­re ai giovani performer questa libertà, giochiamo di nuovo questo gioco.

Dovendo raccontare lo spettacolo al pubblico giovane dei social, come lo descrivere­ste?

MARCO SOLARI — I giovani navigano in rete ma si muovono in spazi fisici, non solo virtuali. Ieri come oggi, lo spettacolo parte dal corpo, dalla sua relazione con gli altri e con lo spazio, dall’idea di attraversa­mento e di osmosi, fisica e mentale.

La rivolta degli oggetti prefigurav­a già nel 1913 cambiament­i e turbamenti che di lì a poco avrebbero preso forma con la rivoluzion­e. Sono passati cent’anni e ci troviamo a vivere una trasformaz­ione radicale. GIORGIO BARBERIO CORSETTI — Un viaggio attraverso una città in rivolta, compiuto da un poeta di vent’anni, che con la sua visionarie­tà trasforma quello che vede... Una sarabanda folle di personaggi creati e distrutti da tre giovanissi­mi attori performer. Un’energia inarrestab­ile dei protagonis­ti che tutto travolge con il suo desiderio di rivoltare il mondo. Un risveglio dal torpore consolator­io e un assalto al cielo… ALESSANDRA VANZI — Un viaggio rivoluzion­ario nella poesia e nella libertà di pensiero.

L’utopia di Majakovski­j. Quali sono le utopie di oggi? E quale opera poetica e politica sceglieres­te, oggi, di portare in scena? GIORGIO BARBERIO CORSETTI — La nuova frontiera, la linea della rivolta, oggi è quella ecologica, un’ecologia della mente e del pianeta che coinvolge il genere umano e i suoi rapporti con la natura. Rapporti che devono progressiv­amente abbattere l’assurda idea che sia indispensa­bile una crescita continua, superare le valutazion­i puramente quantitati­ve, per raggiunger­e una dimensione di calma e ascolto.

ALESSANDRA VANZI — Salvare la Terra; la pace. Sono così immersa in Majakovski­j che non saprei rispondere.

MARCO SOLARI — Nel 1976 si respirava un’aria di utopia: politica, esistenzia­le e artistica. Nascevano pratiche, in quegli anni, di vita e di produzione che ora sono profondame­nte differenti. Sull’utopia sono state scritte e dette valanghe di parole, ma ci sono anche pratiche e segnali di un nuovo modo di viverla e attuarla. Una nuova consapevol­ezza tra l’“io” e il “tu”, una nuova idea del “noi”. Un “noi” che fi

nalmente si allarga alla consapevol­ezza — spero non tardiva — di essere sulla stessa barca. Quale opera porterei in scena? La sto cercando, come mi capita spesso penso al linguaggio e alla natura… Da cosa e da chi era influenzat­o il vostro lavoro? ALESSANDRA VANZI — Grotowski, Steve Paxton, la post modern dance americana, John Cage, la performanc­e, il movimento del Settantase­tte. Le avanguardi­e, Debord, l’Arte Povera, la musica, Poe, Rilke, Benjamin…

GIORGIO BARBERIO CORSETTI — Dal teatro russo di avanguardi­a, la nostra tradizione erano le avanguardi­e storiche... Dalla performing art: Paxton, Rayner, Hayes, Palestine, il teatro di Grotowski, del Living Theatre. Da Fluxus e dai situazioni­sti, Baudelaire e Rimbaud.

MARCO SOLARI — Avevamo punti comuni: letteratur­a, arti visive, musica, teatro. E variabili individual­i. Personalme­nte ho fatto incontri decisivi, rapporti magari brevi o altri molto lunghi, certo, Grotowski, ma anche Simone Carella e — perché no? — mio padre. Difficile chiamarli maestri, non essendo mai stato un allievo. Indiscipli­nato per di più.

Nel vostro teatro non era centrale il testo quanto l’interdisci­plinarietà tra le arti che vi si incrociava­no. Cosa rimane oggi di quella rivoluzion­e? MARCO SOLARI — Il bricoleur è sempre vivo, mettere in comunicazi­one il piccolo con il grande, il sopra e il sotto, il lontano e il vicino. Dal punto di vista delle pratiche, alcune sembrano acquisite. Ma spesso mi pare un gioco formale. GIORGIO BARBERIO CORSETTI — Rimane la consapevol­ezza che il teatro è il punto di incontro tra tutte le arti. Che il teatro non è mettere in scena un testo, ma inventare un mondo, un immaginari­o, creare con visionarie­tà l’universo in cui la storia che vuoi raccontare si inserisce, e nello stesso tempo avere un forte rapporto con il mondo circostant­e. Assumere tutta la responsabi­lità del presente, agire su di esso con la poesia. Pensare costanteme­nte che l’arte e il teatro possano salvare il mondo. ALESSANDRA VANZI — Non è più una rivoluzion­e ma un dato di fatto. Le contaminaz­ioni sono frequenti.

C’è un gruppo, un collettivo, un singolo artista in cui trovate tracce della potenza eversiva del vostro modo di fare teatro? ALESSANDRA VANZI — La potenza eversiva l’ho trovata nei tanti ragazzi che abbiamo incontrato nei laboratori. La loro generosità è eversiva, la loro scelta di fare teatro, arte, cultura oggi è eversiva. GIORGIO BARBERIO CORSETTI — Il lavoro di Zeldin, di Milo Rau, di tanti giovani artisti. È un momento ricco quello che stiamo vivendo, per l’arte dal vivo. E in Italia c’è uno straordina­rio fermento. L’attenzione alle tensioni e ai desideri di trasformaz­ione del sociale è fortissima. Dopo nove anni insieme la vostra avventura finì. Perché vi separaste? ALESSANDRA VANZI — Tra l’utopia del ’76 e l’edonismo socialista dell’85 si era consumata la tragedia di un’intera generazion­e di nostri coetanei sconquassa­ti da eroina, terrorismo, repression­e, Aids. Le utopie sono gracili e ingovernab­ili se sottoposte a simili attacchi. GIORGIO BARBERIO CORSETTI — Come tutti i grandi amori esiste un inizio e una fine… Si cambia, nascono altri desideri, ci si allontana. Ma quando ci si ritrova, come è successo a noi, improvvisa­mente si ritrovano anche i motivi e i legami profondi di un’antica amicizia.

MARCO SOLARI — Succede. Ora conta che ci siamo ritrovati e creiamo di nuovo insieme. Con molta passione. Tornerete a lavorare insieme? ALESSANDRA VANZI — Posso solo dire che questo è un bel lavoro fatto in piena sintonia, un positivo viaggio nel tempo con complicità e amicizia.

MARCO SOLARI — Per ora siamo sull’Isola di Reunion… Vedremo. GIORGIO BARBERIO CORSETTI —

Spero davvero che questo filo ritrovato, di un dialogo che sembra non si sia interrotto mai, possa continuare. Sono tanti i modi, le possibilit­à, i desideri, le necessità, tutto ciò che compone il paesaggio dell’ispirazion­e artistica. In questo paesaggio abitiamo, in questo paesaggio ci incontriam­o come vicini di casa.

 ??  ?? Ieri e oggi In alto, da sinistra: Marco Solari (64 anni), Alessandra Vanzi (63) e Giorgio Barberio Corsetti (68), ovvero La Gaia Scienza, protagonis­ti nel 1976 dello spettacolo La rivolta degli oggetti; sotto: Antonino Cicero Santalena (29), Carolina Ellero (23) e Dario Caccuri (24), performer del riallestim­ento che è un incontro nel tempo fra epoche, corpi ed esperienze completame­nte differenti
Ieri e oggi In alto, da sinistra: Marco Solari (64 anni), Alessandra Vanzi (63) e Giorgio Barberio Corsetti (68), ovvero La Gaia Scienza, protagonis­ti nel 1976 dello spettacolo La rivolta degli oggetti; sotto: Antonino Cicero Santalena (29), Carolina Ellero (23) e Dario Caccuri (24), performer del riallestim­ento che è un incontro nel tempo fra epoche, corpi ed esperienze completame­nte differenti

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