Corriere della Sera - La Lettura

Geralt, l’ultimo cacciatore di mostri

- Di COSTANZA RIZZACASA D’ORSOGNA

Una saga in otto volumi, un videogioco e ora una produzione Netflix che sarà presentata in anteprima a Lucca. Parlano il creatore e la showrunner di «The Witcher»

Quando, nel 1954, J.R.R. Tolkien pubblicò La compagnia dell’anello, non un successo di critica immediato per il professore di Oxford vicino alla pensione che scriveva storie fantasy per intrattene­re amici e familiari, C.S. Lewis, autore de Le cronache di Narnia (1950-56), lo definì «un lampo in un cielo terso», un’opera che in un momento di anti-romanticis­mo patologico conquistav­a il lettore occupandos­i di eroismo e di avventura. Per l a c r i t i ca l et te r ar i a odierna ha fatto lo stesso The Witcher nella Polonia comunista del 1986. Allora, tra crisi economica e rigurgiti della legge marziale, il fantasy era così marginale che lo stesso Tolkien non brillava nelle vendite. Il genere in auge era la sci-fi, influenzat­a da big come Stanisław Lem e Janusz Zajdel, che utilizzava­no la fantascien­za per eludere la censura e denunciare il regime.

La sci-fi era rispettata, aveva una missione: quale missione potevano avere nani ed elfi? Invece, i mostri di Andrzej Sapkowski sbaragliar­ono la concorrenz­a. Da quel primo racconto è nata una saga di otto volumi tradotta in 37 lingue, con 15 milioni di copie vendute in oltre 80 Paesi (in Italia la pubblica Editrice Nord). E ora, dopo l’exploit del videogame, arriva anche la serie, creata, prodotta e sceneggiat­a per Netflix da Lauren Schmidt Hissrich ( West Wing, Daredevil), con Henry Cavill nei panni dello «strigo» Geralt di Rivia.

Quattro degli otto episodi che vedremo entro l’anno, tra cui il primo, saranno diretti da Alik Sakharov ( House of Cards, Il Trono di Spade). Schmidt Hissrich e Sapkowski, insieme ad alcuni membri del cast tecnico-artistico, saranno presenti a Lucca Comics & Games, dove verrà proiettato in anteprima mondiale il trailer della serie. Per tutta la durata del festival, poi, Lucca si trasformer­à nel Continente, iconica ambientazi­one della saga. Una volta varcata la soglia del Sotterrane­o San Paolino non si potrà più tornare indietro, e i visitatori vivranno una full immersion nel mondo di The Witcher, arricchita dalla mostra Le vesti del Continente, sui costumi e le armi di scena.

«Avevo già letto i primi racconti quando Netflix mi ha avvicinata», spiega a «la Lettura» Schmidt Hissrich. «Pensiamo al fantasy come a un genere intenso, perfino cupo, gli stessi libri della saga esplorano temi politici attualissi­mi come il razzismo, l’immigrazio­ne, il femminismo e la xenofobia. È anche per questo che nella serie c’è molta violenza, sebbene non sia mai fine a sé stessa ma strumento per portare avanti la storia. I libri di The Witcher però sono diversi da un fantasy classico: Sapkowski ha un umorismo asciutto e consapevol­e, è un maestro nel creare momenti di alleggerim­ento. Così, per ogni battaglia epica c’è una baruffa sgangherat­a in qualche taverna, per ogni grande storia d’amore ci sono dei fratelli che si fanno degli scherzi. Dietro il mondo fantastico, la vita di tutti i giorni, ed è questo che mi ha conquistat­a: l’opportunit­à di raccontare accanto all’epico il banale, perfino l’esilarante. The Witcher è diversa a ogni episodio: a volte è un action-adventure, altre una love story, oppure un horror».

Più difficile, confessa, è stato scegliere, tra migliaia di pagine, quali capitoli e quali personaggi avrebbero meglio presentato il Continente a un pubblico variegato. «È chiaro che la serie rende omaggio all’autore, ma scava anche fra le righe, prende una frase di Yennefer, maga e grande amore di Geralt, e vi crea attorno un intero episodio. La prima stagione è piena di luoghi e suggestion­i sorprenden­ti, che hanno radici nei libri della saga ma vengono sviluppati ulteriorme­nte».

Proprio attorno al protagonis­ta, spiega, è nato il motto degli sceneggiat­ori. «Iniziavamo ogni riunione dicendo: “Nessuno crede di essere malvagio”. Prima di farli scontrare, abbiamo studiato ogni personaggi­o individual­mente. Qual è il loro obiettivo? Avremmo fatto lo stesso al posto loro? Volevamo che gli utenti guardasser­o la serie pensando: Geralt ha fatto bene o male a uccidere il mostro? È un eroe o un cattivo? Viviamo in un mondo dove i “mostri” sono spesso migliori delle persone. Un mondo che avrebbe tanto bisogno di empatia».

In un certo senso, è possibile leggere The Witcher come una guida all’evoluzione del fantasy. Sapkowski, per cui «tutta la letteratur­a è fantastica a suo modo, perché racconta quello che prima non c’era, e non importa se scrivi di hobbit o d’amore», spiega a «la Lettura» che trent’anni fa, nonostante i suoi autori preferiti fossero già pesi massimi del genere come Fritz Leiber, Ursula Le Guin e Roger Zelazny, non gli sarebbe mai passato per la testa di diventare un autore fantasy, tanto il genere era vituperato. «Così, quando m’iscrissi al concorso letterario indetto dalla rivista “Fantastyka”, l’unica di sci-fi e fantasy in Polonia, decisi di guardare al folklore. La letteratur­a e la mitologia polacca esercitano un’influenza fortissima in tutti i miei libri, purtroppo nelle traduzioni alcuni elementi si perdono. Allora, una fiaba in particolar­e riguardava un ciabattino che uccide un drago. “Un’impresa impossibil­e”, mi dissi. “Io non riuscirei mai. Chi è che uccide i mostri?”. E così ho inventato Geralt, cacciatore di mostri profession­ista. Ottenni solo il terzo posto, quella volta, i giudici erano prevenuti, ma poi mi è andata bene».

Aggiunge la showrunner: «Per anni, il fantasy è stato appannaggi­o delle grandi produzioni cinematogr­afiche. Solo loro avevano i budget per scritturar­e grandi cast, girare scene d’azione mozzafiato, realizzare costumi da Oscar. Oggi il fantasy ha trovato una nuova casa nello streaming e in tv, tanto che il pubblico, quei cast, quei costumi e quelle scene, se li aspetta. The Witcher fa tutto questo con un bel po’ di mostri e di magia, ed è molto originale. L’altro motivo della fortuna del fantasy in tv è che oggi il pubblico non è più incasellat­o e incasellab­ile come una volta. Il fantasy non è più solo per nerd: pensiamo al grande successo del Trono di Spade ». Sapkowski si dice certo che The Witcher riuscirà a replicarlo, se non addirittur­a a superarlo. «Apprezzo il lavoro di George Martin. La serie mi è piaciuta, ma trovo che i suoi libri abbiano troppi protagonis­ti. Una volta gli ho chiesto: “Ma perché uccidi tutti quei personaggi?”. “Perché mi piace”, ha risposto. Non credo che i lettori la pensino allo stesso modo».

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