Corriere della Sera - La Lettura

La Cupola di Brunellesc­hi compie seicento anni

- Di STEFANO BUCCI con un testo di RENZO PIANO

Il 7 agosto 1420, seicento anni fa, apre il grande cantiere della Cupola del Duomo di Firenze, una meraviglia dell’ingegno e dell’ingegneria. Una moneta commemorat­iva in argento da 5 euro dà il via alle celebrazio­ni. È anche da questa «fantasia architetto­nica» che passa il Rinascimen­to. Lo ricorda qui sotto Renzo Piano, che i giurati del Pritzker nel 1998 paragonaro­no proprio al genio fiorentino

La prima pietra (tecnicamen­te per costruirla serviranno pietrefort­i, mattoni, marmi, macigni, cotti, malta) ha una data: 7 agosto 1420. Comincia allora il grande cantiere della Cupola di Santa Maria del Fiore (il Duomo) di Firenze, «la più importante opera architetto­nica mai edificata in Europa dall’epoca romana». Un simbolo sempre attuale: che campeggia sul «diritto» della moneta celebrativ­a da cinque euro in argento, della «Serie Italia delle Arti» della Zecca dedicata alla Cattedrale in vendita fino a oggi — domenica 3 — al Museo dell’Opera del Duomo (sul «retro» un altro dei tesori del Museo, la Cantoria di Donatello). Un simbolo che unisce arte e tecnica costruttiv­a: spingendo i giurati del Pritzker, il Nobel dell’architettu­ra, a paragonare Renzo Piano, vincitore del Premio nel 1998, proprio a Brunellesc­hi che (spiegherà Piano nel suo discorso di accettazio­ne) «non progettava solo edifici, ma anche le macchine per costruirli». Un simbolo molto amato: Michelange­lo in partenza per Roma dove avrebbe costruito la cupola della basilica di San Pietro scriverà al padre: «Vò a Roma a far la su’ sorella, più grande sì, ma non più bella». Ma anche criticato: prima di tutto dal Ghiberti, suo grande competitor e da molti fiorentini suoi contempora­nei che soprannomi­neranno Pippo «bestia».

Costituita da due calotte di forma ogivale tra loro collegate (quella interna ha un diametro di 45,5 metri, quella esterna di 54,8) la Cupola sarà conclusa nel 1434 (la Cattedrale fiorentina, Cupola compresa, sarà consacrata da Papa Eugenio IV il 25 marzo 1436). Più tardi gli affreschi del

Giudizio Universale firmati tra il 1572 e il 1579 da Giorgio Vasari e Federico Zuccari.

Il suo autore, Filippo Brunellesc­hi (Firenze, 1377-1446), non era un architetto-artigiano-costruttor­e qualsiasi: suoi lo Spedale degli Innocenti, la Sacrestia Vecchia di San Lorenzo, la Cappella dei Pazzi. Il suo biografo Antonio Manetti racconta che durante l’apprendist­ato uscirono dalle sue mani orologi meccanici e un «destatoio», una delle prime sveglia.

Dunque seicento e non li dimostra. Nonostante qualche celebre inconvenie­nte: come gli attacchi subiti dalla Lanterna (750 tonnellate di peso, un compito fondamenta­le nella statica) da parte dei fulmini (quello del 27 gennaio 1601 fece cadere la palla di bronzo che la sovrastava realizzata dalla Bottega del Verrocchio quando Leonardo da Vinci era tra gli apprendist­i). E nonostante una decine di crepe, di cui quattro molto grandi, formatesi per ragioni di assestamen­to, temperatur­a o terremoti: «La Cupola sta benissimo — assicura Simone Caciagli, responsabi­le dell’area tecnica dei monument i d e l Duo mo d i F i r e n ze —, g l i “screpoli” si allargano e si restringon­o in modo naturale, perché la Cupola respira proprio come un polmone umano». D’altra parte la Cupola «è uno dei monumenti più monitorati d’Italia, 52 stazioni di rilevament­o e dati che arrivano ogni sei ore per 365 giorni oltre ai sopralluog­hi effettuati in situ da tecnici-scalatori».

Ma qual è davvero il segreto di una Cupola autoportan­te realizzata senza impalcatur­e da terra e con un sistema di ponteggi aerei, otto milioni di mattoni utilizzati, 28 mila tonnellate di peso (il doppio di San Pietro), soltanto sessanta maestri muratori impiegati, una crescita di 2,5 metri all’anno, un solo infortunio mortale. «Il vero segreto — spiega Massimo Ricci, autore de Il genio di Filippo Brunel

leschi e la costruzion­e della cupola di

Santa Maria del Fiore pubblicato nel 2014 da Le Sillabe — è nell’uso dei mattoni “a spinapesce”, una sorta di incastro prefetto, segreto così gelosament­e custodito dal Maestro da nascondern­e la struttura e “mascherarn­e” in alcune zone l’evidenza visiva, coprendo la tessitura dei mattoni con uno strato di intonaco mentre dove sono stati lasciati “in vista” sono stati “truccati” per non farne capire la vera funzione».

Tecnicamen­te la disposizio­ne «a spinapesce» consiste nell’inserire a intervalli regolari mattoni disposti verticalme­nte in modo da impedire ai mattoni disposti orizzontal­mente di scivolare verso l’interno in corso d’opera, quando le malte non sono ancora consolidat­e, permettend­o così la costruzion­e di strutture di grandi dimensioni senza l’aiuto di cèntine e impalcatur­e. «L’altro segreto sta nell’aver intuito la continuità fra le due vele interne e esterne — aggiunge Francesco Gurrieri, già professore di Restauro dei monumenti e preside della Facoltà di Architettu­ra di Firenze — realizzand­o la maggior resistenza con il minor impiego di materiale e, dunque, di peso, una bella intuizione che precede di almeno tre secoli l’invenzione dei profilati metallici che si baseranno sullo stesso concetto».

Quel cantiere impegnerà Brunellesc­hi fino alla morte (lasciando le istruzioni per il mantenimen­to della «sua» Cupola). Sul cantiere Brunellesc­hi trascorrer­à la maggior parte del tempo a stretto contatto con i muratori, vantandosi di conoscere uno per uno i milioni di mattoni. «Non ce ne sono due uguali — diceva —, perché ciascuno di essi è fatto per essere messo dove deve essere messo».

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