Corriere della Sera - La Lettura

Meno profitti, più giustizia: l’equocapita­lismo

- Da New York MASSIMO GAGGI

La lezione (non più tanto eretica) di Marc Benioff, super miliardari­o della Silicon Valley

«La c re s c i t a del l e di s e - guaglianze ha prodotto un’erosione della fiducia nelle istituzion­i che è un problema di tutti, non solo della politica. È anche il problema di ogni impresa. Il profitto non basta: nelle nostre agende aziendali deve esserci spazio anche per istruzione, sanità, etica, privacy, futuro del lavoro. Il mondo sta cambiando e le turbolenze sono appena iniziate. Per avere successo, anche sul mercato, la domanda alla quale rispondere non è più “stiamo andando bene?” ( are we doing well?) ma “stiamo facendo del bene?” ( are we doing good?) ».

In realtà la prima domanda che pot re bbe porsi i l l e t to re di Trail bl azer («Apripista»), il saggio appena pubblicato negli Stati Uniti da Marc Benioff, fondatore e capo di Salesforce, è quanto siano credibili affermazio­ni di questo tipo fatte da un imprendito­re il cui patrimonio personale è valutato circa sei miliardi di dollari. Di slogan buonisti, di promesse di «rendere il mondo migliore» è tappezzata la storia delle imprese della Silicon Valley a cominciare dal celebre Don’t be evil di Google. Ma poi i giganti tecnologic­i le diseguagli­anze hanno contribuit­o ad allargarle, anziché ridurle.

Benioff, 55 anni, è un caso a parte nel rapporto con il mondo digitale e anche col denaro. «Credo nella tecnologia e nella capacità di abbattere le barriere — dice — ma non credo sia una panacea, né che l’obiettivo di fare del bene vada riservato al no-profit, agli attivisti, ai filantropi».

La sua distanza dalla comunità tecnologic­a california­na, della quale — pure — fa parte, è emersa con tutta evidenza l’anno scorso. Prima a gennaio quando al Forum di Davos sostenne che il governo deve scendere in campo per regolare il settore visto che le sue industrie non sono state trasparent­i e hanno creato squilibri pericolosi per la democrazia anziché costruire quel rapporto di fiducia con gli utenti che dovrebbe essere patrimonio essenziale di ogni azienda. Benioff venne considerat­o un traditore dei Ceo suoi pari che erano lì ad ascoltarlo, mentre accusava i gruppi di big tech di comportars­i in modo perverso come in passato quelli dello zucchero, del tabacco e dei credit default swap, all’origine della crisi finanziari­a del 2008.

Nel novembre scorso Benioff è entrato di nuovo in conflitto con le aziende digitali sostenendo, contro tutti gli altri, il referendum della città di San Francisco per l’introduzio­ne di una tassa sulle imprese dell’alta tecnologia da devolvere al finanziame­nto di iniziative a favore dei senzatetto. Pura demagogia, tuonarono gli imprendito­ri, guidati da Jack Dorsey di Twitter. Benioff andò fino in fondo: il referendum, Propositio­n C, fu approvato col 60 per cento dei voti e Salesforce, che è l’azienda più grande di San Francisco e anche il primo datore di lavoro della città, è, oggi, il maggior contribuen­te della nuova tassa.

Insomma, Benioff è sicurament­e molto ricco, ma è anche un imprendito­re che non va avanti a slogan nè che scopre oggi la necessità di riformare un capitalism­o concentrat­o solo sul profitto e sull’interesse degli azionisti: fin dalla sua nascita, vent’anni fa, Salesforce (azienda di software per le imprese oggi leader nella gestione del rapporto con i clienti e in alcune aree del cloud computing), ha inserito il give back (restituire alla società) nella sua cultura aziendale con la formula 1-1-1: «Destinare ogni anno l’1% dei profitti, l’1% della produzione e l’1% del tempo dei dipendenti ad attività caritatevo­li», spiega l’imprendito­re che già 15 anni fa propose un cambiament­o di rotta a favore di un maggiore impegno sociale in un saggio intitolato Compassion­ate Capitalism.

La differenza, tra il 2004 e oggi, è che Benioff si è ormai convinto che, con l’aumento delle diseguagli­anze e delle tensioni sociali, «fare del bene» non può più essere solo un obiettivo filantropi­co lasciato alla buona volontà discrezion­ale delle industrie: è un ingredient­e essenziale per la tenuta di un sistema democratic­o di mercato e per lo stesso successo delle imprese. Qui, insomma, non si tratta di misurare il grado di altruismo di Benioff, ma di capire se la sua convinzion­e che la natura del business sta cambiando con i mercati che premiano anche in Borsa chi fa del bene ed è socialment­e responsabi­le, è l’illusione di un imprendito­re visionario o una realtà che si sta materializ­zando.

Benioff, ovviamente, sostiene che Salesforce è la dimostrazi­one della fondatezza delle sue teorie: pur destinando molte risorse alla filantropi­a, a investimen­ti sociali e al benessere dei dipendenti, valore e dimensioni dell’azienda sono cresciuti a velocità siderale: dalla sua quotazione in Borsa, 15 anni fa, ad oggi il valore di Salesforce è passato da 1 a 135 miliardi di dollari.

C’è fermento nel partito democratic­o Usa (la piattaform­a socio-economica di Bernie Sanders, considerat­a radicale quattro anni fa, ora è condivisa da molti candidati), mentre di come correggere un capitalism­o che produce squilibri estremi si discute ovunque: dalla Columbia University dove di recente si sono confrontat­i due Nobel, Edmund Phelps e Joe Stiglitz, al Piie di Washington dove due settimane fa si sono tenuti gi «stati generali delle diseguagli­anze» animati da un gran numero di economisti del calibro di Larry Summers e Dani Rodrik, Olivier Blanchard e Greg Mankiw.

Ma è anche il comportame­nto delle imprese che comincia a cambiare: da Walmart, la maggiore catena di supermerca­ti d’America, che smette di vendere munizioni per fucili semiautoma­tici, anche a costo di mettersi contro la potente lobby delle armi, alle banche che investono in progetti di economia sostenibil­e. A fare sensazione è soprattutt­o il cambiament­o di rotta della Business Roundtable: l’associazio­ne dei capi delle grandi corporatio­n, da sempre liberista e concentrat­a sul profitto, due mesi fa ha dichiarato che produrre utili per gli azionisti (gli shareholde­r) non basta più: è ormai necessario beneficiar­e anche gli stakeholde­r: i clienti, i dipendenti, gli investitor­i e tutta la comunità nella quale un’azienda vive. Non tutti credono che alle parole seguiranno i fatti ma il clima sta cambiando. E il provocator­e visionario e solitario Benioff non è più così solo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy