Corriere della Sera - La Lettura
Un treno, un omicidio, due vecchi Samuel Beckett prima di Godot
Sembra semplice darsi un appuntamento, ma è falso. Uno dice alle nove del mattino, l’altro ricorda alle nove e quindici: non ci si trova fin dall’inizio. Possono allora succedere tante cose, molte di più se le scrive Samuel Beckett — scomparso a dicembre di trent’anni fa — che da una situazione quotidiana, un ritrovo tra due amici per partire, esplode certo suo tono inimitabile tra comico e paradossale, logico e filosofico. Accade a Mercier e Camier, coppia protagonista dell’omonimo romanzo tradotto a cura di Chiara Montini per Einaudi nel 2015, dopo due precedenti edizioni, con traduzione di Luigi Buffarini, per SugarCo. I due vogliono intraprendere un viaggio, ma sarà unico nel suo genere, perché — come chiarisce fin da subito il narratore — «rimasero a casa loro Mercier e Camier, ebbero questa fortuna inestimabile». Sarà un vagare minimo e impossibile, fin dalla prima scena in un giorno che volge alla pioggia, giocata sui reciproci ritardi, per cui uno arriva, ma l’altro, stanco di aspettare, ormai è andato a fare un giro. Ci metteranno 45 minuti a trovarsi, girando intorno a un isolato, come in un film muto di due strani Stanlio e Ollio, vecchi e vicini all’inedia, ma diversi dal resto del mondo. Se al lettore attento la scena suona come una mise en abyme dell’incontro casuale e puntualissimo in un giorno d’estate del 1881 tra i due curiosi onnivori Bouvard e Pécuchet di Gustave Flaubert, a un altro lettore risulta comunque comica e geniale. Il bello di Mercier e Camier, primo romanzo scritto da Beckett in lingua francese nel 1946, rifiutato e dato alle stampe solo nel 1970, dopo il Nobel, è che la profondità di Beckett, non ancora all’estremo delle sue esplorazioni sulla
tenuta del linguaggio rispetto alla rappresentazione, è più godibile del solito, un po’ scoperta ma non meno affascinante. La gioia dell’interpretazione e dell’intrattenimento vanno insieme, sono non esclusive e aperte al gioco con il lettore. Non c’è nessuna voglia di senso univoco, ma un invito a giocare con l’immaginazione nel senso — quasi nel fango, poiché piove spesso — di quanto raccontato. I due, comunque, non riescono ad andare lontano, un guaio tira l’altro, dall’ombrello scassato alla sacca che sparisce, a una bicicletta che non si sa mai dove mettere, fino al rientro — spesso — dall’amante Hélène. Ci saranno un omicidio, un bordello, un treno, qualche bar e «un bicchierino, velocemente, per darci animo», tante Samuel Beckett (Dublino, 13 aprile 1906-Parigi, 22 dicembre 1989; a destra) è stato drammaturgo, scrittore, poeta, traduttore. Nel 1969 Beckett vince il Premio Nobel per la Letteratura. Aspettando Godot (1952) è stato tradotto in italiano da Carlo Fruttero nel 1968 per Einaudi. La trilogia scritta tra il 1951 e il 1953 Molloy, Malone muore e L’innominabile (Einaudi) rappresenta uno dei vertici della letteratura del XX secolo chiacchiere — che già preannunciano altre coppie beckettiane come la più celebre di Vladimir e Estragon in Aspettando Godot (Éditions de Minuit, 1952) — ma un vero viaggio mai. I due che «furono vecchi giovani» alternano continuamente piccoli godimenti e miseria, come quando Mercier mangia un pasticcino al rhum e poco dopo si lava il viso, dopo giorni, con la pioggia.
Mercier e Camier è un dispositivo per il lettore che legge, una lente che dà riflessi tra risate e domande ultime. Il viaggio c’è, nell’espandersi inatteso delle immagini che offre il racconto, ma senza mai dimenticare la premessa di questi micro Ulisse: «Prima crepiamo, meglio sarà, disse Camier. Questo è vero, disse Mercier».