Corriere della Sera - La Lettura
Il tatuatore e la casa infestata di buchi neri
Torna il romanzo monumentale di Mark Z. Danielewski, ribattezzato da Stephen King «il MobyDick dell’orrore». Si racconta di un giovane che si trasferisce in un’abitazione a Los Angeles appartenuta a un cieco ottantenne scomparso in circostanze misteriose e in un baule trova un manoscritto altrettanto misterioso. Opera carnevalesca che va al di là di ogni canone, ha uno stile deflagrante che confonde i sensi e ha la capacità di destabilizzare il lettore mescolando i concetti di vero e falso, di reale e onirico
Vi sono dipinti, film e libri che per la loro complessità rimangono impressi in mente come visioni. Si decide di impazzire. Ci si ripensa senza sosta, fino a eviscerare tutti i dettagli perché si risolva l’enigma nascosto. Opere dotate di un tale potere carismatico da scatenare, negli anni, indagini bizzarre. Alcuni esempi: L’isola dei morti (1880-1886) del pittore svizzero Arnold Böcklin, cinque dipinti conosciuti per il loro sinistro simbolismo; Cigarette burns (2005) di John Carpenter, l’episodio cult della serie tv Usa I maestri dell’horror, che ci racconta di una pellicola pericolosa La fin absolue du monde il cui protagonista è un angelo privato delle ali, un film in grado di uccidere chiunque lo veda.
Un simile cammino è spettato a Casa di foglie, l’esordio di Mark Z. Danielewski. Apparso nel 2000 negli Usa, battezzato da Stephen King «il Moby- Dick dell’horror», è un romanzo maestoso di 760 pagine, emblema della letteratura ergodica contemporanea, corrente in cui ogni elemento (stile, forma, immagini), si esprime allo stremo affinché si provochi nel lettore affaticato l’elevazione, il disorientamento, la ricerca degli indizi e infine il dubbio sull’eventuale veridicità delle notizie contenute. Ora, questo prodigio della letteratura americana (dopo l’edizione Mondadori del 2005) ritorna nella sua forma originale finalmente fedele ai testi e agli impianti a colori, grazie all’ottimo lavoro di 66thand2nd, tradotto con cura da Leonardo Taiuti e Sara Reggiani. Un atto di fede che incomincia dalla copertina nera, la stessa dell’editore Pantheon. Un’opera che va aldilà di ogni canone letterario, come lo stesso Danielewski, non avvezzo ai palcoscenici mondani, ma dall’indiscusso talento per la mole biblica della sua narrativa.
Esemplare, a riprova, il gigantesco romanzo seriale The Familiar di cui sono usciti negli Usa cinque volumi tra il 2015 e il 2017. Avvolto da una coltre fantasmatica, elusivo nel cedere soluzioni ai tranelli contenuti nei suoi lavori, complice anche il ruolo dei suoi fan che nel tempo l’hanno insignito, tramite un passaparola virtuale, di un’aura occulta. «Per avere un’idea anche solo parziale della struttura della casa dei Navidson è importante riconoscere come le leggi della fisica, associate alla tradizione mitologica dell’eco, potenzino la forza interpretativa di quest’ultima». Casa di foglie racconta di Johnny Truant, giovane assistente tatuatore, il quale grazie al bizzarro amico Lude, prende casa a Los Angeles nell’appartamento di un cieco ottantenne, Zampanò, morto in circostanze misteriose. Setacciando l’appartamento in disuso, Truant scopre dentro un baule un manoscritto appartenuto allo stesso ex proprietario che ha ad oggetto l’analisi dettagliata di una pellicola di culto dal titolo La versione di Navidson del regista premio Pulitzer Will Navidson. Da quel momento il libro ci catapulta nelle vicende del film. La storia della pellicola amatoriale, studiata punto per punto da Zampanò, ruota attorno ai giorni dello stesso Navidson con la moglie Karen, i figli, il fratello, il collega Holloway e la sua troupe, nel cuore della vetusta casa di Ash Tree Lane, in Virginia. Una casa che però «si rifiuta di sottostare alle classiche regole dell’orientamento», una casa infestata di cui Navidson scopre ospitare, nei corridoi, specie di buchi neri ed enormi estensioni di buio. Visiterà e filmerà insieme ai colleghi quei tunnel sovrannaturali perlustrando un’oscurità non umana in cui vigono le leggi distorte dalla metafisica.
Casa di foglie è un’analisi capillare, aldilà della ragione, di un vero studioso. Prova ne sono le strutture reticolari che ingabbiano gli appunti di Zampanò, le parole scritte al contrario, l’immane trascrizione degli studi critici sulla pellicola a piè di pagina, le vistose cancellature in rosso. È anche, però, la storia secondaria di Truant e del tremendo risultato fisico e psicologico che la lettura del manoscritto gli provoca giorno dopo giorno. Con le sue annotazioni ne conosciamo infatti i risultati nefasti attraverso l’interpretazione delle parole di Zampanò. Complice uno stile letterario a briglia sciolta, deflagrante dal punto di vista strutturale e linguistico (diversi i registri: finto saggio, horror, romanzo post-moderno), Casa
di foglie è un libro che Jorge Luis Borges, Edwin Abbott Abbott e Shirley Jackson avrebbero letto (forse addirittura scritto). È, dunque, un’opera carnevalesca che confonde i sensi, che ha la capacità di destabilizzare e impaurire. Le idee di vero/falso, reale/onirico, vivo/ morto non esisteranno più. Preparatevi.