Corriere della Sera - La Lettura
Gli anni più belli della vita Ma non potevamo saperlo
Era la primavera del 1987 a Torre di Palme di Fermo, un borgo affacciato sul mare Adriatico, dietro le nostre spalle si vedono le colline del paesaggio marchigiano, morbide, lunari, io e Patrizia eravamo due ragazzi, stavamo per sposarci, eravamo felici. Tutto cominciava per noi, stavamo arredando la casa, eravamo in giro per mobilieri, ospitavamo idraulici, così come il nostro amico elettricista Magneto, Andrea, le partecipazioni erano state spedite, sul cartoncino davanti c’erano «Gli amanti in volo» di Chagall, era tutto pronto per la grande festa.
Nella fotografia, in posa facevo il finto tenebroso e lei guardandomi era molto divertita, rideva, il suo sorriso era contagioso. Era arrivata da Milano in sella a una Guzzi 350, il bauletto pieno di dischi con i suoi amori trasgressivi di allora, Lou Reed, David Bowie, persino Siouxsie & The Banshees. Finita la stagione dei movimenti politici, eravamo esposti al vento gelato del riflusso. Ricordo che quei giorni ci sono stati, lo so, ne sono intimamente certo, nel profondo, ricordo un lampo di quel momento, una scheggia, e a volte penso con smarrimento che però ho dimenticato la sua voce, che ha pronunciato migliaia di volte il mio nome, la voce che mi ha fatto innamorare e mi ha schernito, le labbra che ho baciato tantissime volte, ho dimenticato la geografia desiderosa del suo corpo, la grana dei capelli, il suo profumo, e com’era fatto quel sorriso che ha accompagnato i miei giorni per vent’anni. Così la vita, la tua vita, può diventare qualcosa di alieno, come succede al Krapp di Samuel Beckett che riascoltando la sua voce, le bobine sfuggenti, le macerie della sua esistenza lontana, le chiama affettuosamente «canagliette». Sì, qui due ragazzi stavano vivendo gli anni più belli della loro vita, quando è tutto oro, ma non potevano saperlo.