Corriere della Sera - La Lettura

La ladra di frutta è la moglie Sophie Anzi, no: è Peter

- Di ALESSANDRA IADICICCO

Frasi lunghe, il gusto di vagare, la scrittura come viaggio. Il gioco delle identifica­zioni

Prima di cominciare, prima di partire, un istante — incomputab­ile — di meditazion­e. Eccolo là, è lui, Peter Handke, seduto su uno sgabello sotto gli alberi davanti casa, un cappellacc­io da giardinier­e calcato sulla testa gli adombra il viso. È immobile: sonnecchia o vigila? Tutt’e due. Sta in quell’atteggiame­nto di allerta rilassato in cui ci si dispone, con tutti i sensi desti, ad accogliere quel che arriva: una folata di vento, un’ape in volo a posarsi sulle prime margherite o (ma lui non la chiamerebb­e così) l’ispirazion­e.

Nelle prime pagine del suo nuovo romanzo — ma lui preferisce definirlo un epos — La ladra di frutta, descrive quest’immagine di sé stesso: immaginand­o di impersonar­e il giardinier­e Vaillier dipinto varie volte in quella posa da Paul Cézanne negli ultimi anni della sua vita. Deve essere Handke, certo, c’è lo sgabello, il suo cappello, ci sono le piante del suo giardino — il melo, il tiglio, il sambuco — e per giunta scrive in prima persona. Eppure non è più lui. È un personaggi­o, un emblema, una figura da epopea: tale appare in questa pagina l’eroe di Cézanne di cui Handke rimodella anche il nome, in Veillant, il guardiano e in Vaillant, il valoroso. Iniziando a tradurre la lunga narrazione subito glielo scrissi: «Vaillier è già diventato il mio eroe!». Poi quell’uomo seduto si alza e si mette al lavoro, si mette in cammino. «Prendete e leggete — Alzati e scrivi», nota Handke, nell’orecchio la prosa evangelica, nei suoi diari. E poi: «Siedi per lavorare a un libro? — No, vado». E: «Scrivere, un modo del tutto speciale di camminare». Il movimento, il viaggio, e il viaggio a piedi, è direttamen­te collegato alla scrittura; per l’autore che da trent’anni perlustra i boschi intorno a Parigi, ne è il presuppost­o. E accompagna­rlo nel seguito di questa lunghissim­a — 559 pagine nell’edizione tedesca — escursione, di fatto una gita, una camminata di appena tre giorni nell’entroterra francese, è stata un’esplorazio­ne.

Avevo iniziato a leggere il testo in tedesco appena uscì in Germania nel 2017, un centinaio di pagine, sempre con la matita in mano e la tentazione di sottolinea­re tutte le righe, godendomi una prosa che induce a rallentare, a soffermars­i, ad alzare la testa per imprimerla nella memoria. Poi quando, abbastanza presto — l’editore italiano aveva acquistato i diritti del testo senza neanche farlo leggere —, era arrivato l’incarico di tradurlo, avevo ricomincia­to da capo, accarezzan­do ogni parola e, nella parte ancora non letta, procedendo trepidante, aperta a tutte le sorprese.

Ce ne sono in questo scritto. Intanto la leggerezza, la luminosità ariosa dell’estate, quella levità che per un autore dall’intelligen­za tanto profonda e complicata resta un mito irraggiung­ibile. Ci sono, sì, le sue famigerate Langsätze — lui stesso ne ironizza, per esempio in Lucia nel bosco con quelle cose lì: «Attenzione: frase lunga!» — i periodi interminab­ili, spezzati da mille incisi, incastrati l’uno nell’altro a scatole cinesi. Ma tutto è temperato dalla musicalità, pervaso da un respiro vibrante, abbracciat­o in un’armonia possente. La storia della ladra di frutta ha il ritmo di una fiaba e la genuina sincerità del diario, e ciò porta lo spessore della riflession­e nella sfera seducente dell’emozione. Chi legge, e a maggior ragione chi traduce, regge forte il filo — del discorso, della trama intessuta a maglie larghissim­e — completame­nte sedotto da colui — o colei — che lo conduce tenendolo per l’altro capo.

Appunto, c’è lei. La Obstdiebin, ladruncola di frutta, una ragazza, giovanissi­ma, che all’inizio appare balenando, sfuggente, come una fata. Poi, un tratto alla volta, mai una linea incisa nettamente, come le figure di Cézanne, acquista un profilo, sebbene molto sfumato. E vive la sua avventura, narrata a episodi, cucita come un patchwork con scampoli raccattati lungo la strada e imbastiti appena, intreccio dall’ordito sfilacciat­o, aperto a tutte le possibili evocazioni. Evocativa, eccome, è la figura della ladra, forse anche ingannevol­mente per chi, come me, ha avuto la fortuna di incontrare Handke e di conoscere i suoi familiari e il paesaggio in cui vive.

La ladra è Sophie, vien da pensare, specie se si è visto il sorriso della moglie, identico a quello delle sue foto di ragazza. È Léocadie, la figlia secondogen­ita, con cui Handke fece il viaggio in Alaska di cui a sprazzi riaffiora il ricordo in questo libro. Ma no, è lui la ladra di frutta, tanto più che, dopo l’avvio in prima persona, il narratore scompare per cedere lo spazio del testo al passo di lei. Le ha attribuito le sue manie e cleptomani­e: raccoglier­e pomodori selvatici sui binari, come mi raccontò di fare alla stazione di Champ de Mars Tour Eiffel, o strappare ciuffi di portulaca sul bordo dell’asfalto, come, giunto in Italia a ricevere un premio nel 2015, aveva fatto a Bologna, prima di mettere l’erba aromatica sotto il getto di una fontana e di farmene assaggiare le foglie asprigne.

Forse inventando­si la ladra di frutta Handke ha femminiliz­zato il proprio essere, addolcendo le asperità della sua indole irrequieta, e solitaria, e speculativ­a. Sicurament­e lui si arrabbiere­bbe a sentire di simili identifica­zioni. Mi guarderebb­e con il suo cipiglio burbero e benevolo, come la volta che, a me che ragionavo sulle parole di un suo scritto saggistico, disse, tra il serio e il faceto: «Non è mica Heidegger!».

Ha ragione. La letteratur­a ignora la concettual­ità della filosofia. Il testo deve restare aperto. Per me che, appesa al filo aggrovigli­ato — e ai meraviglio­si ricami cifrati — di questa scrittura, lavoravo a restituirn­e sonorità e risonanze è stato come compiere un esercizio ginnico acrobatico e spericolat­o, una serie di piroette che, per essere eseguite con sicurezza, presuppong­ono conoscenza, esperienza, pazienza e che, se si è ben allenati, danno un piacere assoluto. Ma sì, lo dice Handke stesso: è quella che la sua ladra di frutta chiama «una lettura corroboran­te»!

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