Corriere della Sera - La Lettura
Lei e Hitler: il piccolo nazi ha due amori
Christine Leunens si è ispirata a una storia vera per il romanzo da cui Taika Waititi ha tratto il film «Jojo Rabbit»
«Una donna francese mi ha raccontato che durante la guerra la sua famiglia aveva dato rifugio a un ebreo polacco e che si era innamorata di lui. Ho provato a immaginare che cosa sarebbe potuto accadere se quella nascosta fosse stata una ragazza ebrea e a trovarla un ragazzo austriaco membro della Gioventù hitleriana, a cui anni di propaganda avevano insegnato a odiare gli ebrei». È nato così, nel 2004, il romanzo di Christine Leunens Caging Skies che ora torna in Italia per Sem con il titolo Il cielo in gab
bia e diventa un film.
A portare sul grande schermo la storia di Johannes Betzler, ambientata a Vienna, scritta da un’autrice neozelandese (nata negli Usa, madre italiana e padre belga), è un regista e attore comico, anche lui neozelandese, Taika Waititi (padre maori e madre di origine ebraica). Il titolo del film che il 22 novembre apre il Torino Film Festival per poi approdare nelle sale a gennaio è Jojo Rabbit (nel cast ci sono Scarlett J ohansson, Sam
Rockwell, Alfie Allen e Rebel Wilson). Christine Leunens racconta a «la Lettura» la genesi del libro e del film: «Mia madre mi ha raccontato molte storie della guerra, e mio nonno, un artista belga, Guillaume Leunens, è stato prigioniero in un campo di lavoro. Lui che usava le mani per realizzare pitture a olio era stato costretto a lavorare il metallo per creare armi. Dopo la guerra ha realizzato sculture per ottenere, da quel metallo che aveva portato morte, qualcosa che potesse portare pace. Quando ho scritto il libro vivevo in Europa, ho fatto molte ricerche e ho ascoltato chi aveva vissuto la guerra, i racconti di uomini e donne che hanno fatto parte della Gioventù hitleriana».
Nel libro e sullo schermo Johannes/ Jojo è uno di loro. Un ragazzino che crede fermamente a quello che gli è stato insegnato: «Eravamo i potenziali eroi di un mondo a venire, giganti di cui ogni gesto e ogni parola sarebbero stati proiettati su quell’eterno grande schermo della vita chiamato “Storia”» (si legge nel libro). Johannes partecipa ai campi della Gioventù hitleriana, tra giochi di guerra, imboscate, esplosioni e libri da bruciare (il soprannome Jojo viene usato solo nel film, dove coetanei e adulti in divisa deridono il ragazzino chiamandolo Jojo Rabbit, Jojo coniglio, per la sua non propensione alla crudeltà). Jojo adora Adolf Hitler. E odia gli ebrei. Li considera mostri, inclini a tradimenti e a inganni, incapaci di amare la bellezza. Ma la sua vita e quello in cui crede vengono sconvolti dalla scoperta che i genitori (la sola madre nel film) danno rifugio, dietro al muro della sua casa, a una ragazzina ebrea poco più grande di lui: Elsa.
L’avvio è quasi lo stesso. Ma moltissime sono le differenze tra libro e film, raccontate con orgoglio dalla scrittrice. Christine Leunens ha affidato il suo libro a Taika Waititi, che ha firmato anche la sceneggiatura di Jojo Rabbit: «Ci siamo incontrati e mi ha raccontato quello che voleva realizzare. L’arco narrativo del libro attraversa molti anni», segue Johannes tutta la vita, oltre la guerra. «Un film che vuole essere troppo simile al libro rischia di diventare molto noioso, allora ho detto a Waititi: “Il libro è mio e quello che ho scritto non potrà mai essere cambiato, prendi la mia storia e falla tua”. Ho trovato ottima la sua idea di soffermarsi solo sulla parte relativa alla guerra».
Mentre nel romanzo il tempo scorre e Johannes cresce, nel film Jojo rimane sempre un bambino biondo di 10 anni (interpretato da Roman Griffin Davis) che ama indossare la sua divisa e si atteggia a perfetto nazista. «Volevo guardare alla follia della guerra e dell’odio attraverso gli occhi e l’ingenuità di un bambino», ha raccontato il regista, che ha unito dramma, commedia e satira. Nel film Jojo ha un amico immaginario: Hitler, interpretato dal regista. «Nel libro, Hitler è sempre nella testa di Johannes, anche se lo vede una sola volta, a Vienna, gridare al balcone della Neue Hofburg dopo l’annessione dell’Austria al Reich. Il regista non poteva descrivere a parole i pensieri di Jojo e ha trovato quest’ottima soluzione».
L’autrice riflette sulle differenze tra scrittura e cinema: «La narrativa è la forma d’arte più intima, l’unica che ti concede, attraverso le parole, di scivolare nella vita di un’altra persona, di vederla attraverso i suoi occhi, di percepire il dolore, i pensieri, i desideri». Leunens fa questo nel libro, entra nella testa di Johannes, gli fa raccontare la sua storia in prima persona: l’ossessione per il Führer, l’amore morboso che lo lega a Elsa. Per non perderla fa credere alla ragazza che a vincere la guerra siano stati i tedeschi. Dopo la guerra e l’Olocausto, molti personaggi del libro sono condotti alla follia. «Oggi dobbiamo stare molto attenti a non dimenticare la follia della Seconda guerra mondiale e tutto il dolore che ha causato. Ho letto della scorta a Liliana Segre, e questo dimostra quanto tutto ciò sia tragicamente attuale».
Nel romanzo il dolore emerge con forza: «Io ho scritto un finale tragico, il film concede una nota di speranza. Si ride molto, ma non si perde mai di vista la tragedia di quanto avviene sullo schermo». Di quanto avvenuto nella realtà.