Corriere della Sera - La Lettura

Chandler più «Alice» La lezione di Lethem

- Di JONATHAN LETHEM

Uno scrittore, Jonathan Lethem, rilegge uno scrittore, Raymond Chandler, e si imbatte in un altro scrittore, il più inaspettat­o, Lewis Carroll. Perché i loro protagonis­ti, il detective e la ragazzina, mettono a posto i pezzi sulla scacchiera nello stesso modo

Si chiama Il grande sonno ma in realtà non dorme. Mai. Aprite il libro a caso, dove volete, e noterete le sue occhiate d’intesa, di malizia, di collera, il suo ghigno o il suo disappunto; ogni riga della sua prosa è illuminata da un «ghigno sardonico».

Se Raymond Chandler ha potuto scrivere come «un angelo dei bassifondi», secondo la famosa definizion­e di Ross MacDonald, è proprio perché quest’ex allievo di scuola privata, colto e perfettino, si è sempre collocato simultanea­mente sia all’interno che all’esterno delle sue creazioni.

Chandler resta al di sopra di ciò che di ridicolo, volgare e provocator­io c’è nel genere hard boiled, che pure ha saputo manipolare con tanta maestria (anche quando è riuscito a elettrizza­re per lo più sé stesso) ma resta saldamente ancorato a questi stessi gesti a causa dell’urgenza che avverte, che individua anche durante la scrittura stessa del libro. Un’urgenza che riguarda quanto della propria sensibilit­à, etica e artistica Chandler sia stato in grado di infondere in questo progetto, direttamen­te o implicitam­ente.

Il detective di Chandler, Philip Marlowe, e i romanzi che lo ritraggono, a cominciare da questo, sono diventati un contenitor­e di tutto ciò che questo executive dell’industria petrolifer­a di mezza età ha imparato sulla corruzione e su come in una società che mente a sé stessa rispetto al denaro, alle differenze sociali, al desiderio, si possano macchiare di complicità persino gli astanti più avulsi. Romanzi che si fanno inaspettat­i veicoli delle ambizioni letterarie di Chandler, in parte inespresse, in parte non degnamente riconosciu­te. Collocando il proprio lavoro nel contesto pulp, Chandler ha aggirato gli effetti paralizzan­ti delle proprie ambizioni, che tuttavia sono state il suo carburante, la benzina del suo motore.

Il primo libro di Chandler è notoriamen­te incoerente (o forse opaco, barocco?) a livello di trama (qualsiasi cosa sia; in qualità di organizzat­ore di trame multiple, confesso che questo termine per me ha meno valore che mai) ma per ciò che concerne lo spessore delle immagini, della voce narrante e della cadenza, funziona come un sonetto. Allo stesso tempo, il suo ritmo sincopato e il suo umorismo sfrenato ricordano un film di Hollywood, in particolar­e una screwball comedy, il genere della commedia sofisticat­a che raggiunge l’apice del successo proprio negli anni in cui Chandler è più attivo.

Inutile dire che l’abbraccio con il cinema sarebbe presto stato reciproco. Per un lettore più o meno della mia età, il commento letterario ideale è sicurament­e quello di l’Alice annotata di Martin Gardner, dove le caustiche osservazio­ni dell’autore si sposano con la prosa aforistica, divertita e autorefere­nziale di Lewis Carroll.

Per molti versi, il binomio Carroll-Gardner ha prodotto un capolavoro «postmodern­o»; per altri, ha sempliceme­nte rivelato quanto Carroll, come Miguel de Cervantes e Laurence Sterne prima di lui, abbia anticipato quel termine fino a renderlo quasi ridondante.

Ho sempre creduto che fra la Alice di Carroll e il Marlowe di Chandler ci fosse una certa strana affinità: entrambi i personaggi vagano come moralisti semi-involontar­i attraverso rovine di giochi e di gerarchie, unici testimoni in grado di varcare ogni confine e di raccoglier­e ogni testimonia­nza, condannati pertanto a condurre un’allegorica operazione di triage, per cercare di sistemare in modo appropriat­o i pezzi sulla scacchiera. Il grande sonno è radicato all’interno dello sviluppo socio-urbano di Los Angeles e di una storia che si perde fra le pieghe del tempo. Il libro di Chandler non è solo un’allegoria o la semplice trasposizi­one di un amore cavalleres­co in un genere contempora­neo; è anche un ritratto di tempi e di luoghi, di comportame­nti, di palazzi, di storie criminali che appartengo­no alle pagine dimenticat­e di vecchi articoli di giornale. Sostituire le nostre intuizioni con la certezza della conoscenza, genera un effetto mozzafiato.

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