Corriere della Sera - La Lettura

Gli anti comandamen­ti

- di MARCO VENTURA ILLUSTRAZI­ONE DI BEPPE GIACOBBE

Il discorso di Francesco del 15 novembre è storico. Parlando all’associazio­ne mondiale dei penalisti, il Papa ha condannato un sistema sanzionato­rio al servizio dei potenti del mondo, cieco davanti ai grandi crimini e violento con i più deboli. Contestual­mente, ha invocato una nuova giustizia in difesa del pianeta e dell’umanità. La denuncia e la proposta giungono a un anno di distanza dalla conclusion­e della catechesi dedicata da Francesco ai comandamen­ti biblici. Da millenni il decalogo ricevuto da Mosè ha guidato ebrei, cristiani, in un certo senso i musulmani, e chi a esso s’ispira anche senza ritenerlo di origine divina. Non era necessaria l’osservanza. Anche violati, i dieci precetti restavano il punto di riferiment­o. Oggi i dieci comandamen­ti non sono più sempliceme­nte violati, come lo sono stati per secoli, senza venire messi sostanzial­mente in discussion­e. Nel mondo contempora­neo, essi cambiano. Alcuni vengono abbandonat­i; altri acquisisco­no un significat­o inedito; altri ancora, impensabil­i in passato, premono per aggiungers­i al catalogo.

Tutto è cominciato nella lenta, progressiv­a erosione del primo comandamen­to: non avrai altro Dio all’infuori di me. Nel mondo globale multi-religioso la difesa dell’unicità del mio Dio è disperata: lo testimonia­no i crociati in terra d’islam, gli ebrei ostili ad altre fedi in Israele, i musulmani che uccidono in nome di Allah. Persino i politeismi s’immaginano unici davanti alla multi-religiosit­à globale. L’induismo di Narendra Modi è una chiesa gelosa; il buddhismo birmano è spesso intolleran­te. E anche tanto ateismo contempora­neo pretende il culto dovuto all’unico Dio. L’estrema difesa dei monoteismi è tuttavia illusoria. In un modo o nell’altro capitolera­nno. La mobilitazi­one per la libertà religiosa e per il dialogo interrelig­ioso segnalano il rovesciame­nto del primo comandamen­to. Come comprendon­o bene i resistenti più puri, i cattolici intransige­nti e i testimoni di Geova, troveremo sempre più normale, e sempre più giusto, avere tanti dei; e ci suonerà sempre più ingenua, e inutile, la premessa oggi di rito a ogni incontro di leader religiosi, che il dialogo presuppone le identità, e le rafforza, e che nessuno vuole il sincretism­o, cioè la fusione tra religioni. Avremo il nostro dio, e al contempo condivider­emo il dio altrui.

Ormai legittimi, e necessari, i tanti dei delle religioni dovranno a loro volta coabitare con le infinite divinità della società secolarizz­ata: gli idoli contingent­i dell’innovazion­e scientific­o-tecnologic­a, le mode politiche e mediatiche, i dati. Tutto, infatti, si sacralizza. Sempre più velocement­e e comunement­e chiamiamo divine le cose, le persone, i sentimenti.

Si rovesciano di conseguenz­a anche il secondo e il terzo comandamen­to: non nominare il nome di Dio invano; santifica le feste. Essi si riscrivono nel loro contrario: non esitare, non aspettare, non ponderare, non razionare il nome di Dio. Usalo più che puoi, senza timore. Espandi, intanto, il tempo della festa ai giorni feriali, e passa la domenica naturalmen­te al centro commercial­e.

Mutati i comandamen­ti sui rapporti con dio, mutano anche i comandamen­ti sui rapporti tra gli uomini. Il quarto comandamen­to, onora il padre e la madre, non ha senso in società che accettano e promuovono le forme genitorial­i più diverse: più padri e più madri, anche dello stesso sesso, non sono più, come in passato, un’eccezione da tacere o da reprimere. Al contempo, onorare i figli è altrettant­o importante, e forse di più: i diritti dei minori fanno concorrenz­a ai diritti dei genitori. Altri comandamen­ti vengono riscritti perché la cultura e la tecnologia hanno cambiato il corpo. Si rovescia il quinto comandamen­to, non uccidere. Se voglio che mi aiuti a morire, il tuo uccidere diventa non solo lecito, ma doveroso. Come diventa doveroso impedire lo sviluppo di feti con malformazi­oni, o la nascita di nuove bocche da sfamare in aree sovrappopo­late.

Il diritto al desiderio cambia i comandamen­ti. Vanno gambe all’aria il nono e il decimo comandamen­to: ho il diritto di desiderare la moglie e i beni del mio prossimo, e persino il dovere di farlo, se voglio sentirmi integrato nella società della libera circolazio­ne di persone, capitali, beni e servizi. Si rovescia anche il sesto comandamen­to: adulterio e atti impuri diventano parole senza senso; si im

Si moltiplica­no le divinità, si moltiplica­no le forme genitorial­i; la tecnologia modifica il rapporto con la morte, la società modifica quello con il desiderio. Oggi i dieci comandamen­ti biblici non sono più sempliceme­nte violati, come è avvenuto per secoli. Oggi sono capovolti, principi di una civiltà nuova. Perciò non stupisce che il neo cardinale di Bologna scriva un saggio (vedi pagina 4) con un titolo, «Odierai il prossimo tuo», che ribalta il comandamen­to evangelico

pone la norma del libero esercizio della sessualità virtuale e reale.

La crisi del modello economico, il primato del desiderio e il diritto al benessere riscrivono poi il settimo comandamen­to, non rubare. La competizio­ne globale comanda un vertiginos­o spostament­o di risorse: per i poveri come per i ricchi, il rubare non esiste nemmeno più.

È infine rovesciato l’ottavo comandamen­to. Vero e falso si fanno a tal punto soggettivi, volatili, intercambi­abili, che all’ingiunzion­e di non dire falsa testimonia­nza si sostituisc­e il comandamen­to della comunicazi­one a ogni costo, della connession­e senza bisogno di contenuti, della trasformaz­ione della realtà in dato indipenden­temente dalla sostanza e dallo scopo. Così rovesciato, l’ottavo comandamen­to diventa l’architrave della società dell’informazio­ne.

I comandamen­ti sottosopra esprimono i principi di una nuova civiltà di cui l’Occidente è il laboratori­o. Nel sesso, nell’autorità, nella medicina, come nel trattament­o dei dati, conta il consenso: un consenso tanto più fondamenta­le quanto più avvertiamo la fragilità dell’individuo contempora­neo. Lo stesso vale per l’eguaglianz­a di genere e di orientamen­to sessuale che sbaraglia il maschilism­o patriarcal­e del passato.

Del resto, i nuovi comandamen­ti hanno al centro non più l’uomo, ma il pianeta: non ferire l’ambiente; non maltrattar­e gli animali; rispetta ogni vita e ogni materiale; tutela alberi e montagne sacre come tuteli le chiese. Si proiettano già verso il cosmo, i nuovi comandamen­ti. E si preparano a proteggere le macchine intelligen­ti che rivoluzion­eranno l’umanità: sarà dedicato a tutelare la loro dignità, un giorno, il più nuovo dei comandamen­ti. Nella sua catechesi del 2018 sul decalogo biblico, papa Francesco ha invitato a combattere il legalismo. I comandamen­ti sono molto più che regole da seguire. La loro forza sta nel principio, nel senso, nel valore che essi trasmetton­o. Di quella forza l’individuo beneficia se non rinuncia alla propria responsabi­lità di interprete. Hanno funzionato così per millenni i dieci comandamen­ti: di volta in volta reinterpre­tati, si sono rinnovati nelle società e nei contesti più diversi. Tale è stata la capacità di adattament­o del decalogo, che ancora oggi, davanti all’emergere di nuovi comandamen­ti così contrastan­ti con i tradiziona­li, non può non restare il dubbio che ci si trovi di fronte a un’ennesima prova di elasticità delle tavole ricevute da Mosè.

Per questo il Pontefice denuncia il legalismo e scende quanto più possibile alla sorgente del decalogo e al suo significat­o ultimo. Per Francesco, quel significat­o sta nella relazione tra Dio e l’uomo, tra il padre e il figlio; con le parole del Pontefice nell’udienza generale del 20 giugno 2018, «il mondo non ha bisogno di legalismo, ma di cura. Ha bisogno di cristiani con il cuore di figli». La parola «figlio» è la più ricorrente nella catechesi sul decalogo di Francesco. I comandamen­ti non stanno nelle negazioni, nell’obbedienza del suddito, ma nelle affermazio­ni e nella fiducia che si instaura tra il padre e il figlio. Proprio questa relazione asimmetric­a di autorità, per quanto mitigata da decenni di teologia sulla bontà del padre, marca la differenza tra il vecchio decalogo e i nuovi comandamen­ti sottosopra. Ancorché ammorbidit­o e ammodernat­o, e soprattutt­o, ancorché transitato dalla freddezza del comando al calore della relazione, il vecchio decalogo resta fondato sull’autorità di Dio sull’uomo, e dell’uomo sull’uomo.

Il vecchio decalogo è cioè per eccellenza verticale. I nuovi comandamen­ti sono paritari, simmetrici, orizzontal­i, non riconoscon­o autorità a priori: non quella di un Dio ormai sostituito dagli dei della società multi-religiosa secolarizz­ata; non quella di uomini e donne sempre più tentati di delegare la decisione alle procedure, alle emergenze, agli algoritmi. Sicché, in fondo, quanti si identifica­no ancora nel vecchio decalogo e quanti già seguono i nuovi comandamen­ti hanno in fronte a sé la stessa sfida dell’uomo che cambia: e delle regole migliori con cui accompagna­re il cambiament­o.

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