Corriere della Sera - La Lettura
«In difesa della città, è lei la patria»
Tra gli studenti del Liceo classico Foscarini
«Darei la mia vita per Venezia». Narek Frangulyan, 15 anni, origini armene, abita a Favaro, ma da giorni viene in Laguna per aiutare chi ha perso tutto, anche se il liceo dove frequenta il secondo anno, il classico Marco Foscarini, è chiuso a causa del maltempo che ha colpito la città. «Sono pronto a sacrificare me stesso per Venezia», ribadisce senza esitazione Maurizio Bartolo, diciassettenne al quarto anno.
I due ragazzi seguono l’indirizzo europeo al Foscarini, storico liceo di Cannaregio, a due passi dal Campo dei Gesuiti: focus internazionale, storia e arte insegnate in lingua straniera, un approccio più moderno allo studio del greco e del latino, maggiore attenzione a matematica e fisica. Qui è stata anche abbandonata la suddivisione in ginnasio e liceo che caratterizza ancora l’ordinamento tradizionale. Tra i ragazzi, ovviamente, vince l’amore per la città piegata dall’acqua alta, una Venezia lacerata che alimenta negli studenti un nuovo senso del sacrificio per l’altro.
Ma non ci sono solo le piaghe della Serenissima. Nina Cerasuolo, di quinta, ha appena compiuto 18 anni e in un mondo utopistico darebbe la sua vita per un ideale, per esempio la parità di genere. «Nel mondo reale — spiega — si può aiutare l’altro senza dare la vita: bisogna dedicarla a qualcosa, mettendosi in gioco partendo dal proprio piccolo, per esempio donando il sangue o il midollo osseo. Se fossi a Hong Kong in questi giorni, certo mi sacrificherei per un ideale di libertà, non riuscirei a non farlo: ma chi come me non vive nell’emergenza ha il dovere di riconoscere il proprio privilegio ed essere responsabile verso il prossimo».
Piena di ideali è anche Giulia Ricciuti, classe seconda, che a soli 15 anni darebbe la vita per difendere donne e ragazze in difficoltà: «Non è tollerabile che al giorno d’oggi ci siano diseguaglianze. Sì, sono disposta a sacrificarmi: un ideale vale la vita. In futuro sogno di diventare avvocato per difendere i diritti delle donne». Ma, se posti di fronte a un bivio in cui siamo costretti a scegliere se morire per l’ideale in cui crediamo o vivere tradendolo, come reagiremmo? «Sacrificherei la mia vita — riflette Alessandro Porpora Miracco, diciassettenne all’ultimo anno, lasciando emergere i dubbi — per qualcosa in cui credo. Ma, a prescindere dall’ideale, finirebbe per prevalere l’istinto di sopravvivenza: tra vita e morte, forse sceglierei la vita. Sfido molti a dire il contrario, soprattutto oggi. In passato il senso della morte era più presente nella società, ora è distante: nel 2019 chi si sacrificherebbe per la Chiesa o per la patria?».
Perché «il concetto di nazione è superato, la nostra società è cambiata», afferma Tommaso Grossi, quindicenne in seconda. «Non darei la mia vita per la patria — continua — e non perché mi faccia paura l’idea di andare in guerra, ma perché non c’è più l’ideale di nazione unita di un secolo fa. Ora come ora morirei per la mia città piuttosto che per l’Italia. Però lotterei anche per un bene superiore, come l’integrazione, contro i confini fisici e culturali».
Anche Carlotta Medic, due anni più grande di Tommaso ma già in quinta, si volge a un bene superiore: «Uguaglianza e solidarietà sono i principi per cui mi impegnerò sempre». Ma i valori, innanzitutto, devono partire da noi stessi e non sempre sono una guida sufficiente. «Darei la mia vita per qualcuno a cui voglio bene, penso a mia madre che è stata male qualche anno fa. Quando ti succede una cosa del genere — dice con voce spezzata Clara Mondi, sedicenne in terza — credetemi, gli ideali passano in secondo piano». E l’amore per i propri cari è fondamentale anche per Thea Zamparo, quattordicenne in prima: «Per la mia famiglia sacrificherei tutto. Ci sono altre cose ma questa è la più importante».