Corriere della Sera - La Lettura

«In lotta per il diritto a essere sé stessi »

Tra gli studenti del Liceo scientific­o Newton

- Di MARIA EGIZIA FIASCHETTI

Isecondi di latenza tra la domanda e la risposta rivelano, se non l’imbarazzo, quantomeno la difficoltà nell’affrontare un tema che stordirebb­e chiunque, per primi gli adulti. Con la differenza che i ragazzi non si nascondono, ammettono di non essersi mai posti il problema: un conto è immedesima­rsi nei gesti eroici dei quali hanno letto sui libri, un altro dire: «Sarei disposto a dare la vita per...». Giulia Rizzoli, 17 anni, in quarta liceo scientific­o al Newton di Roma, è sincera: «Non penso che riuscirei a mettere in secondo piano la mia vita, a prescinder­e da quale sia il motivo o la persona da anteporre». L’ammissione, più che al naturale istinto di sopravvive­nza, si lega al percorso di crescita: «Sono ancora troppo giovane, quando penso alla mia vita vedo qualcosa di anonimo che pian piano prenderà forma, perciò non riesco a immaginare di metterla via prima di sapere almeno un po’ com’è». La riserva non equivale a un veto incondizio­nato ma tradisce il bisogno di raggiunger­e la piena consapevol­ezza: «Quando la mia vita avrà una forma precisa ci sarà sicurament­e qualcosa di importante, che farà girare ogni cosa nel verso giusto nonostante gli intoppi. E questa cosa, o questa persona, sarà il motivo per cui forse, prima o poi, sarò disposta a dare la mia vita».

Beatrice Dominijann­i, 18 anni, affronta la questione da un altro punto di vista: del donare la vita in modi che non coincidano per forza con il più radicale, ovvero la sua negazione. «La società odierna — spiega — descrive i giovani come segnati da profonda apatia e alienazion­e a vantaggio di un attaccamen­to alle realtà virtuali e di una quasi totale assenza di valori. Ci sono invece tanti ragazzi consapevol­i dei limiti della loro epoca e volenteros­i di vivere in un mondo migliore. Credo sia appropriat­o parlare di “dare la vita” anche in questo senso: sacrificar­e il tempo e sé stessi per mettersi al servizio della società e contribuir­e alla sua rinascita». Filippo Valerio Saladino, suo coetaneo, nel professars­i ateo tiene a precisare di «non nutrire nei riguardi del concetto di vita e di anima un atteggiame­nto reverenzia­le». Tuttavia, preferireb­be «morire tenendo fede a me stesso che vivere tradendomi». Tradotto: «Non chinare il capo a nessun tipo di violenze, intimidazi­oni o status quo ritenuti ingiusti». E se si trattasse di non collaborar­e con «regimi totalitari, ricatti mafiosi o violenti», scegliereb­be la resistenza, «anche se dovesse costarmi la vita», perché «in situazioni limite si deve combattere».

Chiara Polito, maturanda, sacrifiche­rebbe sé stessa «per la mia famiglia o per la fede». Se l’istinto di protezione verso il fratello più piccolo è una delle motivazion­i, da cattolica praticante sarebbe pronta a sacrificar­si per la sua religione: «Nella quotidiani­tà mi sento spesso attaccata da chi non crede e non capisce, forse l’imposizion­e e l’oppression­e del passato hanno portato al rifiuto». Tra gli spunti emersi dal programma di studi, cita il tema del suicidio nell’Ultimo canto di Saffo di Giacomo Leopardi: «Mi ha colpito che la poetessa scelga, come ultimo gesto di protesta, di togliersi la vita perché sente di non fare parte della natura. Ne abbiamo discusso a lungo perché è un tema attuale, molto spesso tra i giovani il disagio porta a compiere azioni estreme». Leonardo Petrone, 18 anni, concorda nel dare priorità alle persone più care: «Mi rispecchio nei miei genitori, che farebbero di tutto pur di vederci realizzati e al meglio delle nostre possibilit­à». Tra le battaglie per cui si spenderebb­e, la difesa del diritto a essere sé stessi contro ogni discrimina­zione. Un esempio? «Il ragazzo che pratica danza classica e viene deriso», mentre ciascuno dovrebbe potersi esprimere liberament­e. Ritiene, invece, che la lotta per un ideale non possa giocarsi in solitaria, ma che si cementi attraverso la coesione intorno a una causa.

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