Corriere della Sera - La Lettura
«Un altro ambiente con un’altra Ilva »
Tra gli studenti dell’Istituto industriale Righi
Potremmo chiamarla generazione ex-Ilva. Sebbene allo stato attuale non sia ancora chiaro se quell’ex sia da riferire solo allo storico nome o alla fabbrica nel suo complesso: spetterà a governanti e giudici decidere se quell’enorme stabilimento che da quasi sessant’anni è il biglietto da visita di Taranto continuerà o meno a produrre acciaio.
Di certo, però, nelle aspettative delle nuove generazioni tarantine quella fabbrica è destinata a cambiare radicalmente. Ne sono consapevoli anche all’Istituto industriale Augusto Righi, storica fucina di tecnici per l’acciaieria. Un istituto — con indirizzi in informatica, elettronica, meccanica e aeronautica — che, come spiega la dirigente scolastica Iole De Marco, «partendo da una storica formazione tecnica sta cercando di dare anche un taglio ecologico». Lo sanno bene nella quinta classe, meccanica con articolazione energia, in cui insegna Letteratura italiana e Storia l’attivista civico tarantino Alessandro Marescotti: «Oggi ci stiamo occupando della Prima guerra mondiale», spiega il prof presentando i suoi alunni. Quelli della generazione ex-Ilva, appunto. Che ha cominciato la scuola superiore con l’obiettivo di lavorare nell’industria pesante e si ritrova a chiuderla in piena era Greta, la 16enne svedese che sta portando la sua idea di sviluppo sostenibile in giro per il mondo.
«Per cosa darei la vita? I nostri nonni hanno vissuto con ideali molto più forti, uscivano dalla guerra e dovevano ricostruire il Paese. I giovani di oggi — ammette Angelo Delfino, 19 anni, di Marina di Ginosa — hanno meno senso del dovere e meno responsabilità, perché il futuro lo si programma in ritardo. Io darei la vita per un futuro migliore dei miei figli, soprattutto per la loro salute». Che per Angelo — ma a Taranto lo sanno tutti — viene prima di tutto. E il lavoro? «Si può rendere l’Ilva meno dannosa, utilizzando tecnologie innovative». Cosimo Principale, 18 anni, di Lizzano, spiega il concetto: «A Taranto l’acciaio viene ancora prodotto con il carbone. Ma c’è anche l’idrogeno. Solo così potremo avere un futuro». Perché se c’è un ideale per il quale combattere, anche a rischio di dare la vita, Cosimo non ha dubbi: «È fermare gli effetti dei cambiamenti climatici, perché a lungo andare potremmo non avere un futuro. Se non ci pensiamo noi che ci stiamo affacciando adesso alla maggiore età, chi ci penserà?». Un futuro senza un futuro: Greta, a Taranto, troverebbe porte spalancate, almeno tra i suoi coetanei. Alcuni sono già pronti a declinare la sua idea di sviluppo sostenibile in atti concreti in riva allo Jonio. È il caso di Vito Mirizzi, 18 anni, di Monteiasi, per il quale «la battaglia per salvaguardare l’ambiente e ridurre i rischi dei cambiamenti climatici — ideali per i quali vale la pena combattere — si attua a Taranto con lo smantellamento della grande fabbrica e la successiva bonifica. Questo potrebbe assicurare lavoro per i prossimi anni agli operai di oggi e di domani».
Meno drastico Alessandro Scisci, 19 anni, di San Giorgio Jonico. Che si adegua all’obiettivo di salvaguardia dell’ambiente, ma senza dimenticare la tutela dei posti di lavoro: «Bisogna trovare un compromesso, la chiusura della fabbrica comporterebbe molti problemi». In fin dei conti, per Alessandro l’obiettivo da perseguire, anche rischiando la vita, è quello per cui giornalmente combatte l’intera Taranto: trovare un punto di incontro tra ambiente e occupazione. E lo strumento da utilizzare, dice Antonio Matichecchia, 18, anche lui di Monteiasi, è l’innovazione: «Penso che l’ideale per cui combattere sia l’innovazione in senso lato, dalla grande industria alle piccole cose di tutti i giorni. Per portare le aree meno sviluppate, come il Mezzogiorno, ai livelli di quelle più ricche d’Europa, come la Germania, l’unica strada è l’innovazione».