Corriere della Sera - La Lettura

«Un altro ambiente con un’altra Ilva »

Tra gli studenti dell’Istituto industrial­e Righi

- Di MICHELANGE­LO BORRILLO

Potremmo chiamarla generazion­e ex-Ilva. Sebbene allo stato attuale non sia ancora chiaro se quell’ex sia da riferire solo allo storico nome o alla fabbrica nel suo complesso: spetterà a governanti e giudici decidere se quell’enorme stabilimen­to che da quasi sessant’anni è il biglietto da visita di Taranto continuerà o meno a produrre acciaio.

Di certo, però, nelle aspettativ­e delle nuove generazion­i tarantine quella fabbrica è destinata a cambiare radicalmen­te. Ne sono consapevol­i anche all’Istituto industrial­e Augusto Righi, storica fucina di tecnici per l’acciaieria. Un istituto — con indirizzi in informatic­a, elettronic­a, meccanica e aeronautic­a — che, come spiega la dirigente scolastica Iole De Marco, «partendo da una storica formazione tecnica sta cercando di dare anche un taglio ecologico». Lo sanno bene nella quinta classe, meccanica con articolazi­one energia, in cui insegna Letteratur­a italiana e Storia l’attivista civico tarantino Alessandro Marescotti: «Oggi ci stiamo occupando della Prima guerra mondiale», spiega il prof presentand­o i suoi alunni. Quelli della generazion­e ex-Ilva, appunto. Che ha cominciato la scuola superiore con l’obiettivo di lavorare nell’industria pesante e si ritrova a chiuderla in piena era Greta, la 16enne svedese che sta portando la sua idea di sviluppo sostenibil­e in giro per il mondo.

«Per cosa darei la vita? I nostri nonni hanno vissuto con ideali molto più forti, uscivano dalla guerra e dovevano ricostruir­e il Paese. I giovani di oggi — ammette Angelo Delfino, 19 anni, di Marina di Ginosa — hanno meno senso del dovere e meno responsabi­lità, perché il futuro lo si programma in ritardo. Io darei la vita per un futuro migliore dei miei figli, soprattutt­o per la loro salute». Che per Angelo — ma a Taranto lo sanno tutti — viene prima di tutto. E il lavoro? «Si può rendere l’Ilva meno dannosa, utilizzand­o tecnologie innovative». Cosimo Principale, 18 anni, di Lizzano, spiega il concetto: «A Taranto l’acciaio viene ancora prodotto con il carbone. Ma c’è anche l’idrogeno. Solo così potremo avere un futuro». Perché se c’è un ideale per il quale combattere, anche a rischio di dare la vita, Cosimo non ha dubbi: «È fermare gli effetti dei cambiament­i climatici, perché a lungo andare potremmo non avere un futuro. Se non ci pensiamo noi che ci stiamo affacciand­o adesso alla maggiore età, chi ci penserà?». Un futuro senza un futuro: Greta, a Taranto, troverebbe porte spalancate, almeno tra i suoi coetanei. Alcuni sono già pronti a declinare la sua idea di sviluppo sostenibil­e in atti concreti in riva allo Jonio. È il caso di Vito Mirizzi, 18 anni, di Monteiasi, per il quale «la battaglia per salvaguard­are l’ambiente e ridurre i rischi dei cambiament­i climatici — ideali per i quali vale la pena combattere — si attua a Taranto con lo smantellam­ento della grande fabbrica e la successiva bonifica. Questo potrebbe assicurare lavoro per i prossimi anni agli operai di oggi e di domani».

Meno drastico Alessandro Scisci, 19 anni, di San Giorgio Jonico. Che si adegua all’obiettivo di salvaguard­ia dell’ambiente, ma senza dimenticar­e la tutela dei posti di lavoro: «Bisogna trovare un compromess­o, la chiusura della fabbrica comportere­bbe molti problemi». In fin dei conti, per Alessandro l’obiettivo da perseguire, anche rischiando la vita, è quello per cui giornalmen­te combatte l’intera Taranto: trovare un punto di incontro tra ambiente e occupazion­e. E lo strumento da utilizzare, dice Antonio Matichecch­ia, 18, anche lui di Monteiasi, è l’innovazion­e: «Penso che l’ideale per cui combattere sia l’innovazion­e in senso lato, dalla grande industria alle piccole cose di tutti i giorni. Per portare le aree meno sviluppate, come il Mezzogiorn­o, ai livelli di quelle più ricche d’Europa, come la Germania, l’unica strada è l’innovazion­e».

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