Corriere della Sera - La Lettura
I nipoti di Santa Nonna Russia
Tra due mondi Con «Un paese terribile» Keith Gessen si conferma molto abile nel cogliere i contrasti fra gli Stati Uniti, sua terra d’approdo, e la realtà d’origine. Descrive una doppia decadenza: personale e socio-economica. Il cattivo è il mercato, non Putin
Circa a metà dell’avventura che lo porta da New York a Mosca, il giovane Andrej chiede alla nonna Baba Seva: «Tu cosa ne pensi del comunismo?». E lei con un sospiro risponde: «Cosa ne penso del comunismo? Penso che valesse la pena provarci. In questo Paese terribile non funziona mai niente. Ma valeva la pena provarci».
Fa quasi male leggere le parole che danno il titolo al romanzo di Keith Gessen Un paese terribile, perché quando escono dalla bocca sdentata di Baba Seva siamo già abbastanza avanti nella trama per sapere che il regime le ha rovinato la vita portandole via prima il lavoro di docente universitaria di letteratura russa, che ha dovuto lasciare all’apice della campagna anti-cosmopolita (leggi antisemita); e poi la sua unica figlia, costretta a emigrare negli anni Settanta con la famiglia, per dare un futuro ai piccoli Andrej e Dima. Avanti veloce ed eccoci all’agosto del 2008, quando il mondo è sull’orlo del baratro e in Russia, invece, il prezzo del petrolio è ai massimi e l’economia va alla grande.
È in quel momento che il dottorando in letteratura russa Andrej Kaplan, 33 anni, appena piantato dalla ragazza e senza grandi prospettive di lavoro, torna da Brooklyn a Mosca per occuparsi temporaneamente della nonna. A chiedergli di farlo è suo fratello Dima, che abitualmente vive nel centro di Mosca nell’appartamento accanto a quello della nonna. Dima ha dovuto lasciare in tutta fretta la Russia per un qualche affare andato pericolosamente storto.
I due fratelli si somigliano solo per l’amore che portano all’adorabile Baba Seva, amore che tiene insieme le pagine di questo romanzo ironico e perspicace: una commedia triste che riesce a disegnare un ritratto intenso e coinvolgente della Russia contemporanea.
La madre di Andrej e Dima è morta di cancro quando loro erano ragazzi (e forse non sarebbe morta se fosse rimasta a Mosca, dove i controlli erano gratuiti e obbligatori). Il loro padre si è risposato con un’americana e vive a Cape Cod. Dima è diventato un capitalista senza scrupoli. E Andrej è un giovane uomo un po’ tonto e un po’ vile, abituato a sprecare il suo tempo su Facebook invidiando la carriera dei colleghi mentre tira la cinghia insegnando corsi di slavistica online a ragazzi americani «contagiati dal morbo della storicizzazione dilettantistica di Tolstoj».
Uno dei pregi di questo libro ottimamente tradotto da Katia Bagnoli è affrontare un argomento raro nella narrativa americana come la vulnerabilità maschile. Spronato dal suo supervisore ad approfittare dell’agosto in casa della nonna per registrare i suoi ricordi dell’era sovietica («La gente va pazza per questa roba»), Andrej vede sfumare il suo progetto di fronte al declino di Baba Seva, la cui lenta ma inarrestabile discesa nella demenza è raccontata con toccante sincerità e tenerezza.
Tra passeggiate con la nonna nelle strade percorse da un numero osceno di Audi Suv nere, e frustranti gite alla ricerca di negozi che vendano cibo a prezzi non irragionevoli, Andrej racconta una Mosca dove un cappuccino al bar costa dieci euro, dove le prostitute hanno le recensioni online come gli elettrodomestici e dove i liberal che odiano Putin si ritrovano al pretenzioso caffè Jean-Jacques e conoscono a memoria i nomi delle gallerie d’arte di New York. Ovunque Andrej è un pesce fuor d’acqua: troppo povero per godersi la cuccagna, depresso quanto basta da sprecare ogni occasione di socializzare e in ogni caso sempre più occupato dalla nonna, la cui demenza lo esaspera almeno quanto lo commuove. Eppure, per fedeltà a lei, e anche perché a New York non ha un lavoro, decide di restare a Mosca a tempo indefinito. E piano piano si costruisce una vita: giocando a hockey quasi ogni sera nella tetrissima periferia sovietica; entrando in un giro di giovani neo-socialisti che sognano una nuova rivoluzione; e innamorandosi di una di loro, la bella e malinconica Julija, i cui standard morali lo trovano spesso inadeguato.
Ed è lì, nella frizione tra le due russie, che scorre la linfa vitale di questo romanzo scritto da uno dei più brillanti intellettuali russo-americani, fondatore della rivista letteraria «n+1»: nella frizione, cioè, tra la Russia sovietica dell’orrore totalitario dove tutti erano poveri ma avevano un lavoro e accesso alle cure mediche, e quella di Putin dove la più grande minaccia alla libertà, scopre Andrej, non è quel leader con la faccia da pitbull che viene dal Kgb, ma «la dittatura del mercato» di un Paese che ha portato all’apoteosi i valori del capitalismo occidentale.
La novantenne Baba Seva ha vissuto in un’epoca in cui chi non veniva mandato a morte viveva nella miseria, nella depressione e nell’alcolismo: eppure ha tanta nostalgia dell’Urss da essere felice solo guardando i film dell’epoca di Stalin. Mentre le ragazze dei siti di incontri online di oggi sono così disincantate che prima di venire a letto con te ti chiedono i soldi per la pulizia postcoitale della stanza. «Questo è un paese terribile» continua a ripetere Baba Seva ad Andrej. «Perché sei tornato?».
Uomini fragili Uno dei tanti pregi del romanzo è che affronta anche un tema raro nella letteratura statunitense: la vulnerabilità maschile