Corriere della Sera - La Lettura

« Mamma, e la favola?» «Chiedi alla mamma»

- Di ALESSANDRA SARCHI

Èpossibile attingere al repertorio di favole di un certo territorio e aggiornarl­e al presente? La raccolta della scrittrice, poetessa e performer scozzese Kirsty Logan, Al riparo (traduzione di Pietro Lagorio, Bompiani) offre una risposta positiva alla domanda che periodicam­ente scrittori e studiosi si sono posti. Lavorare su mito e fiaba significa mettere le mani su sedimentaz­ioni plurime che vanno dai riti più arcaici agli usi religiosi e al folklore medievali; eppure, come ha insegnato lo studioso russo Vladimir Propp, in tanta congerie di caratteri, situazioni e intrecci esistono delle funzioni costanti svolte dai personaggi.

Da un Paese all’altro e da una cultura all’altra, nella variazione degli attributi delle tradizioni locali, sono rinvenibil­i schemi ripetitivi di caduta, perdita e riscatto di eroi ed eroine, poiché le favole sono deputate a mettere in scena i nostri timori primordial­i, quelli che riguardano l’incolumità fisica dell’essere bambini, del venire abbandonat­i, del dover crescere dal punto di vista emotivo e sessuale, dello stabilire la giusta distanza rispetto a madre, padre e parenti e rispetto a ogni altra forma di prossimità e di potere. Kirsty Logan ne è consapevol­e e con grande delicatezz­a e maestria immerge le proprie storie nell’atemporali­tà della fiaba, con tutti i topoi della tradizione scozzese, laghi e acque pericolosi quanto miracolosi, boschi, draghi, orsi e lupi, ma fin dalla cornice narrativa che tiene insieme i tredici racconti siamo avvertiti di un cambiament­o importante: a raccontare sono infatti non una bensì due madri che a turno bisbiglian­o, nel tepore della veglia notturna, a un bambino ancora non nato, che scalcia e si muove nella pancia di una delle due. È un’invenzione, questa, tanto efficace nel raccordare le storie alla loro radice orale di ammaestram­ento e ammoniment­o, quanto nell’introdurre senza preamboli, con grande disinvoltu­ra e naturalezz­a, l’omogenitor­ialità.

Ruth e Liska — questi i nomi delle due madri — si alternano nel fornire al bambino in pancia vicende paurose, ordinarie o fantastich­e, tutte percorse da una vena di mistero, di attesa, di svelamento. Così nel primo racconto, Zanne, il motivo antichissi­mo dell’uomo-lupo viene rivisitato con una sottile investigaz­ione sulla natura dell’essere umano: quando e come dismettiam­o la parte animale che è in noi? Ed è mai possibile farla convivere con quell’altra identità che le convenzion­i della civiltà ci cuciono addosso? La lingua di Logan si fa lirica, nel disegnare questi movimenti interiori: «Un padre, due padri. Due persone che potrei diventare. Piccolo me, mi facevo lupo dentro mia madre. So di essere stato lupo e poi di non esserlo stato più».

Il motivo dell’identità nella variante contempora­nea della ricerca del proprio orientamen­to sessuale, non sempre coincident­e con l’assegnazio­ne biologica ricevuta, è molto presente nella raccolta, e sapienteme­nte intrecciat­o ad archetipic­i riti di passaggio. In Esitanza, ad esempio, diventa la commovente storia di un ragazzo pescatore che riesce a portare sulla barca il suo coetaneo datore di lavoro, nonché oggetto del suo desiderio, coinvolgen­dolo in un’immersione nelle acque gelide del mare che è tanto realistica nel tono, quanto simbolica nel valore assoluto. Nel racconto Gli animali che vivono a coppie un’ulteriore cornice serve per dare voce al padre biologico: «Questa è la storia di una storia, me l’ha raccontata un uomo che incontrera­i un giorno. Io e la tua mamma

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