Corriere della Sera - La Lettura
La prigione di Altan: pigiama, spazzolino, pillole
In Turchia può davvero accadere di tutto, anche l’inverosimile. Magari un personaggio pubblico, mettiamo il grande scrittore Ahmet Altan, famoso in tutto il mondo, va in televisione e dice qualcosa che il censore occulto (talmente occulto da essere quasi palese) ritiene «messaggio subliminale» per favorire un golpe e la gente ci crede, o è convinta a crederci.
Il golpe poi diventa miracolosamente realtà, o magari parodia, a metà luglio del 2016. Illusione di poche ore, perché oggi a credere a un golpe ordito dal predicatore sunnita Fetullah Gülen, in esilio negli Stati Uniti, per rovesciare il suo ex sodale Recep Tayyip Erdogan, primo ministro turco dal 2003 al 2014 e da allora presidente della Repubblica, sono rimasti pochi ingenui, e molti interessati a mantenere rapporti (in affari) stretti con il grande accusatore. Parliamo del nuovo «sultano» Recep Tayyip Erdogan, malato di autoritarismo, feroce e vendicativo, lanciato contro l’ex amico fraterno Gülen, e pronto — dopo poche ore «pseudo-golpiste» — a fare arrestare decine di migliaia di oppositori, magistrati, funzionari, corpi speciali dell’antiterrorismo, giornalisti, scrittori, intellettuali, ufficiali, dipendenti pubblici. Insomma tutta quella marmaglia culturale che il sultano-dittatore ritiene responsabile dei mali del
Paese. Nella rete, il primo a cadere è una delle voci più libere della Turchia, appunto Ahmet Altan. Un terrorista? «Ma certo, è un terrorista, agita le masse, è un cospiratore, è un serpente velenoso, merita l’ergastolo», strilla la tv nazionalizzata. «Ha persino irriso il presidente Erdogan quando disse, a una riunione del suo partito Akp, che gli americani si erano inventati lo sbarco sulla Luna».
Meno male che la giustizia turca ha un sussulto, e il richiesto carcere a vita si restringe a 10 anni e 6 mesi e Altan, che oggi ha 69 anni (è nato il 2 marzo 1950 ad Ankara), torna in libertà il 4 novembre dopo 1.138 giorni trascorsi in galera. Ma non c’è neppure il tempo di esultare, la vacanza da uomo libero dura infatti poco più di una settimana, ed ecco che lo scorso 12 novembre tornano le manette per lo scrittore sovversivo, adesso nuovamente in galera. E pensare che sono le stesse corti, magari in quartieri diversi di Istanbul, a cambiare idea e a contraddirsi. Una tortura mostruosa soprattutto per l’imputato, che trascorre i pochi giorni di libertà frequentando la Casa della Letteratura, nel quartiere di Pera, a Istanbul, rilasciando qualche intervista e affidando al «Guardian» di Londra una memoria scritta della propria prigionia. Altanè colpevole di non si sa cosa, costretto a vive renella paura le poche o redi libertà: Amnesty Internati on al ha definito l’ intera vicenda «sconvolgente e ridicola». Si pensi che neppure alla legale di Altan, l’avvocatessa Figen Calikusu, è stato notificato il nuovo provvedimento. Lo ha dovuto leggere sul quotidiano filogovernativo «Sabah», informando subito il suo assistito. Racconta che Altan, «con estrema dignità e straordinario humour, ha atteso gli agenti in borghese, con l’ordine di cattura, nella sua casa, circondato dai familiari, con gli effetti personali già stivati nella sua borsa: pigiama, spazzolino da denti, qualche pillola che accompagna la vita negli anni più fragili». L’ha richiusa con un amaro sorriso.
Ahmet Altan non si è mai sentito in prigione. Nel suo celebre libro Non rivedrò più il mondo (pubblicato in Italia giusto un anno fa da Solferino con la traduzione di Alberto Cristofori), racconta che «uno scrittore fa le magie, e passa attraverso i muri. Potete mettermi in carcere — ripete nel testo — ma non potete tenermi in carcere». Oppure nel suo libro Scrittore e assassino racconta la storia di un autore che va a vivere in un villaggio, ma si ritrova assediato dalle maldicenze, dai sospetti e dalle accuse più ignobili, persino