Corriere della Sera - La Lettura

La vita che verrà, all’ombra del fico

Natura Un piccolo paese del Sud, un ragazzino, un vecchio saggio, un padre che rischia di emigrare. E un albero che si riempie di frutti ma è più di un albero: lì maturano le storie e la vocazione del protagonis­ta del romanzo di Carmine Abate

- Di SEVERINO COLOMBO

Avere a che fare con qualcosa di lontano e di ormai perduto: è quest a s e ns a z i one c he a ccompagna il lettore entrando nel potente racconto di Carmine Abate, L’albero della fortuna (edito da Aboca), un affresco della natura nel suo essere e nel suo divenire: maturare, sfiorire, poi di nuovo nascere e di nuovo sfiorire...

Il romanzo — uscito nella collana «Il bosco degli scrittori» che invita gli autori a raccontare il mondo a partire da un albero reale o ideale — ha al centro una pianta di fico, «albero coltivato nel Mediterran­eo in molte varietà». Abate ambienta la vicenda nel paese immaginari­o di Spillace, già teatro dei suoi precedenti libri; e affida la voce narrante a Carminù, un ragazzino di dieci anni: suo lo sguardo che, per gustare per primo i frutti del fico, scopre l’alba quando arrossa il cielo; suo l’orecchio che ascolta storie e miti dall’anziano nuni Argentì sotto il fico; sua la voce che ferma la ruspa venuta a scavare una strada proprio dove c’è la pianta; suo il naso che coglie il profumo della festa e della pasta al forno preparata dalla mamma nel giorno di santa Veneranda.

A rimarcare il ritmo circolare — il ciclo naturale, verrebbe da dire — che caratteriz­za la narrazione di Abate è la perfetta coincidenz­a tra le parole che la aprono e quelle che la chiudono: «Mi svegliò il coro furibondo degli uccelli». L’inizio è la fine e la fine è un nuovo inizio.

Il racconto, che lo scrittore premio Campiello dedica ai figli, è diviso in quat t ro momenti, non e s a t t a mente quattro stagioni, con la maturazion­e del fico stesso a dettare i tempi, i titoli dei capitoli sono lì a ricordarlo: «Il tempo dei bottafichi», quello «dei fichi veri», quello «dei fichi secchi» e, infine, quello «dei fichi nìvurelli».

I bottafichi maturano a fine giugno; sono, in italiano, i fichi fioroni come spiega la maestra ai ragazzi. Inutilment­e. «Fioroni? — osserva lo scolaro Carminù —. Ma vuoi metterli a confronto con bottafichi? Appena ne pronunci il nome, senti scoppiare l’estate».

«Mi svegliò il coro furibondo degli uccelli». L’immagine che apre il romanzo è carica di drammatici­tà, perfino vagamente inquietant­e. Sono le ghiandaie, in dialetto le grisce, ma sembrano le arpie, i mostri mitologici, quando si avventano all’alba sull’albero del fico facendo incetta e strazio dei polposi frutti di cui anche Carminù va ghiotto, ma che purtroppo per lui non riesce mai a gustare.

La voglia del ragazzo di riuscire a beffare le grisce («che sono davvero strunze » perché «non guardano in faccia nessuno») innesca guerre mattutine infantili ed epiche; sfide appassiona­te quanto le partitelle di calcio pomeridian­e con gli amici Vittorio, Mario e gli altri. Carminù s’arrovella, s’ingegna, chiede consiglio a chi sa più di lui: il padre e l’anziano saggio Argentì. Chissà se il ragazzo avrà la meglio su quegli uccelli, ai suoi occhi non solo golosi ma pure dispettosi.

Il racconto di Abate è sostenuto da una lingua viva, con forti coloriture locali; sceglie termini che scavano nella storia e usa parole che danno emozioni: chi lavora sono «i faticatori»; il biblico Erode è «il micidiante»; gli artisti di strada «i teatristi»; l’intelligen­za è «la spertizza»; i fichi piccoli, neri e dolcissimi sono «i nìvurelli». La lettura appaga e riempie la bocca come un succoso frutto maturo.

«Mi svegliò il coro furibondo degli uccelli»: la frase, quasi un tema musicale, torna uguale in apertura al secondo capitolo. Stavolta il periodo è fine luglio, il momento in cui cominciano a maturare i fichi veri. Carminù va in gita con la famiglia a Crotone: «Ci servivano delle fototesser­e: a me per l’iscrizione alla scuola media; a mio padre per un’eventuale partenza». Abate cattura un mondo con un’istantanea: coglie con una sola frase le prossime tappe della crescita di Carminù e i timori (fondati) del ragazzo che il padre, emigrante, debba presto dover ripartire per trovare lavoro. Destino toccato nella vita allo stesso Carmine Abate, partito da giovane dalla Calabria per la Germania; e capitato nel racconto a nuni Argentì: il novantenne ha faticato in Sudamerica e ora è tornato e, rimasto solo, passa le giornate seduto sotto il fico. Perché è l’albero della fortuna: «Ma — Argentì avverte Carminù — non pensare che ti aiuta a vincere all’Enalotto o al Totocalcio. Ti aiuta a usare meglio la tua forza e la tua spertizza, se ne hai a sufficienz­a».

«Mi svegliò lo stridio dei cingoli». Stavolta l’apertura del capitolo, il terzo, non ha nulla di naturale: è una mattina di marzo quella in cui Carminù salta giù dal letto e salva il fico da una ruspa; la strada porta la modernità e il lavoro ma può passare un po’ più in là, lontano dall’albero... Il ragazzo si siede sulla sedia di

nuni Argentì e si mette a far la guardia al fico con gli amici. Sotto i suoi rami racconta storie vere, lette o inventate, come quella del ragazzino della loro età che un giorno sale su un albero e non ne scende più...

Sotto al fico — forse grazie all’energia di cui depositari­o — Carminù getta il seme per quello che lui stesso diventerà. «Compà, cosa vuoi fare dopo la scuola?», gli chiede per scherzo Vittorio; il ragazzo non ha quasi esitazioni: «Lo scrittore».

«Ogni anno, a fine luglio, mi sveglia il coro furibondo degli uccelli». Il quarto capitolo è collocato nell’oggi: il ragazzo è diventato adulto e, in Trentino dove ora vive, la sfida con le ghiandaie è un appuntamen­to ricorrente ma non per questo meno atteso. Carminù risiede lontano dal paese come pure gli amici di un tempo ma una volta all’anno tutti insieme fanno ritorno a Spillace con i figli perché anche loro imparino ad amare «il bosco, la campagna, il mare, i fichi».

L’albero della fortuna si chiude regalando la piacevole sensazione che qualcosa che appartiene a un tempo perduto — la potenza del raccontare sta tutta qui — è stato ritrovato e che ciò che era lontano ora è, invece, presente.

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 ??  ?? CARMINE ABATE L’albero della fortuna ABOCA EDIZIONI Pagine 176, € 14
L’immagine Isidro Nonell Monturiol (1872-1911), Il fico (1895, olio su tela), Monastero di Montserrat (Spagna)
CARMINE ABATE L’albero della fortuna ABOCA EDIZIONI Pagine 176, € 14 L’immagine Isidro Nonell Monturiol (1872-1911), Il fico (1895, olio su tela), Monastero di Montserrat (Spagna)

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