Corriere della Sera - La Lettura
Senza vela né timone la bussola è lo stupore
Bilanci Escono due volumi che raccolgono le recensioni di Franco Cordelli. Se per i classici c’è un canone del quale tenere o non tenere conto, per i romanzi d’oggi nessuna mappa è possibile: la critica sonda l’impossibilità della critica
Leggere una dopo l’altra le mille pagine di saggi e articoli critici che Franco Cordelli affida a due volumi, Un mondo antico e Il mondo scintillante, richiede da parte del lettore, oltre a un certo atletismo del nervo ottico, molte altre prestazioni, la più importante delle quali è lo stupore, lo stupore più ingenuo possibile, quello degli stupidi, ciò che si prova quando ci si riconosce stupidi ( stupore e stupido hanno del resto la stessa radice etimologica, come anche studente): questo qua ha letto tutto, e scrive di tutto, e continua a leggere e scrivere di tutto. Se per esperimento il recensore volesse redigere un elenco degli autori, antichi e contemporanei, recensiti da Cordelli, eccederebbe senz’altro la misura di battute assegnategli — e farebbe un gran bell’articolo, ad averne il coraggio. Ma purtroppo non c’è recensore così stupido, così disposto cioè ad arrendersi al puro e semplice stupore, un’emozione che si prova molto più di rado di quanto si creda, e che per questo è un peccato sprecare. Tocca dire qualcosa, tornare con i piedi per terra, reagire allo smarrimento e suggerire al lettore qualche pista di lettura.
Ma la principale in fondo è già stata esposta: affratellarsi all’autore, uno dei nostri maggiori narratori, nello stupore che da sempre lo muove a scrivere di critica letteraria. Senza bussola, senza reti di protezione, persuaso forse ormai un po’ anacronisticamente che compito primo della critica sia il giudizio di valore, e di anno in anno sempre più disorientato circa la sua effettiva possibilità.
Passi il primo volume, Un mondo
antico, ovvero la letteratura dall’antichità fino al nostro altro ieri, da Marco Aurelio e Giovanni Boccaccio a Paolo Volponi e Sebastiano Vassalli, che Cordelli recensisce secondo l’aureo precetto secondo cui bisogna leggere i classici come contemporanei (per verificare se sono ancora vitali) e i contemporanei come classici (per interrogarsi se mai potranno durare, e cioè divenire tali). Ma il secondo! Il mondo scintillante prende in esame soltanto la letteratura di giornata, quella che esce, quella che si fa.
Se nel primo Cordelli può giovarsi dei buoni uffici del canone (capolavori, opere maggiori, opere ingiustamente trascurate, riscoperte, chicche, insomma il tran tran consueto della borsa letteraria di cui parlava T. S. Eliot), nel secondo naviga in mare aperto senza vela né timone, prendendo in esame romanzi che provengono da tutti i continenti, da tutti i generi, da tutti i climi tematici e formali, la famosa o famigerata world literature, che gli apocalittici hanno sempre la tentazione di ridurre a un enorme supermarket, e di fronte alla quale anche gli integrati più irenici vacillano un po’.
Ma passi anche questo, tanto più che in quanto scrittore Cordelli ha una motivazione in più del lettore comune a spiare che cosa vanno facendo i suoi colleghi. Il suo rovello sta però nel fatto di trovarsi di fronte a quelle che a lui paiono due evidenze contraddittorie. Da una parte, a rigore, tutta quella roba non dovrebbe esistere. Non perché abbia mai creduto alla «morte del romanzo», o almeno così dice. Ma al suo lungo, drammatico, tormentoso crepuscolo, questo sì (uno non è nato nel Novecento per niente), il romanzo essendo un genere che nietzschianamente ha voluto con tutte le sue forze il proprio tramonto, dalle vette del modernismo agli spasimi dell’avanguardia.
Come mai invece tutta quest’affluenza, quest’esuberanza? È solo un fenomeno di mercato, un sintomo del narcisismo globale?
Il fatto è che no, e qui sta la seconda evidenza. In quella sterminata raccolta di merci (Marx dixit) c’è anche un sacco di roba buona, e tanto peggio se non è più la letteratura di una volta. Tanto peggio per il critico, almeno — al lettore in genere queste cose non interessano, e a buon diritto, anche perché, come diceva Karl Kraus, perfino la vecchia Vienna un tempo era nuova.
Che cosa leggere e che cosa non leggere? Tutto è impossibile. Come scegliere, di chi fidarsi, dove sono le scuole, le poetiche, le polemiche, i critici di una volta (quelli sì scomparsi)? E la risposta — da cui lo stupore radicale, ontologico — è disgraziatamente una sola: il caso, l’occasione, la circostanza. Come Goethe diceva che ogni poesia è poesia d’occasione, così anche ogni critica è diventata oggi d’occasione. Giri in libreria, consigli di amici, recensioni altrui, d’occasione anche quelle… Perché dovrei leggere questo autore invece che un altro? — si chiede spesso Cordelli. Perché tutti questi romanzi che non si fanno problema di essere tali dovrebbero piacermi, e spesso mi piacciono, a me che della liceità del romanzo mi sono fatto un tribolo per tutta la vita?
Come tutti sanno, l’unica vera replica filosofica allo stupore è: perché sì; e poi vedere com’è (sempre Goethe: mai «perché», piuttosto «poi che»). Che è purtroppo l’unica di cui un critico non può accontentarsi, pena la sua estinzione.
Ecco allora una buona definizione del Cordelli critico, qui e in molte sue altre bellissime raccolte di saggi, ma tanto più pregnante quanto più viene verso l’immediato contemporaneo: se la sua narrativa è un continuo saggiare l’impossibile impossibilità del romanzo, la sua critica fa altrettanto con la critica. Non potrebbe, non dovrebbe esserci, e invece c’è. Libero chi vuole di pensare che sia un risultato da poco. ( PS. Per chi notasse che non si sono fatti nomi: non è stato per caso).
Cosa leggere e cosa no? Tutto è impossibile. Come scegliere, di chi fidarsi, dove sono le scuole, le poetiche, le polemiche, i critici di una volta? E la risposta è disgraziatamente una sola: il caso, l’occasione, la circostanza. Come Goethe diceva che ogni poesia è poesia d’occasione, così anche ogni critica è diventata oggi d’occasione