Corriere della Sera - La Lettura
L’anima giudiziaria e quella esistenziale
Una donna torna dal passato dell’avvocato Guerrieri: lui era alle prime armi in uno studio legale e lei, più grande d’età, lo guidò nel passaggio da ragazzo a uomo. A Bari, città del romanzo, forse commentarono, sghignazzando, che gli fece da nave scuola, ma le cose furono più complicate, spirituali e non solo carnali. Il futuro avvocato imparò da Lorenza a conoscere i libri e i film giusti, a capire meglio il bene e il male. Lorenza, che ambiva a fare la scrittrice, è rimasta una supplente di italiano, vive nella casa dei genitori (completando «un’orbita triste attorno ai propri sogni»), e ha un figlio di 25 anni condannato in primo grado per omicidio. Ed è questo il motivo per cui Lorenza riappare nella vita di Guerrieri alla vigilia del processo d’appello. L’avvocato accetta il caso (quasi disperato). La misura del tempo di Gianrico Carofiglio è un legal thriller e un viaggio nel tempo (perdonate il bisticcio di parole). Il libro fonde le due anime (ma forse è una sola) dello scrittore: quella giudiziaria e quella esistenziale (per dirla in parole semplici). Ho sempre creduto nella prima e nel personaggio di Guerrieri. Ho invece avuto qualche dubbio iniziale (anche grosso) sulla seconda. Mi sbagliavo. Per finire, una divagazione alla Tristram Shandy (l’autore mi capirà). Carofiglio è diventato un personaggio pubblico, un protagonista dei dibattiti televisivi. I primi tempi era un po’ rigido (capita ai magistrati, ai letterati, a chi da ragazzo era molto timido; tutte caratteristiche riscontrabili in lui). In seguito si è sciolto, è diventato più simpatico, gradevole, autorevole (vedendolo nei salotti tv, ho poi più volte notato ospiti femminili guardarlo con malcelata concupiscenza). Nella Misura del tempo, malgrado la malinconia di molte pagine (che si riassume nella frase di Marcello Mastroianni: «Mi piace cenare con gli amici. Allora, perché devo morire?»), Carofiglio mi sembra di ottimo umore. E ha ragione di esserlo.