Corriere della Sera - La Lettura

Lo skate è un’opera d’arte

Non solo gioco La Triennale di Milano è la prima istituzion­e museale al mondo a ospitare uno skatepark coperto. Sarà inaugurato il 27 novembre e sarà praticabil­e fino a febbraio. Poi sarà donato alla città. «Apriamo le porte a pubblici e culture nuove»

- di ANNA GANDOLFI

Una tavola lanciata a tutta velocità. Un trick, un’evoluzione, da applausi. Poi la bowl, la «ciotola» dentro cui girare, salire, scendere. Precisione, perfezione, nervi saldi, fatica. Qualche caduta clamorosa. Tutto in un museo. Alla Triennale di Milano arrivano gli skater.

«Speriamo siano tantissimi. Anzi, ne siamo certi». Lorenza Baroncelli sorride: è il direttore artistico della prima istituzion­e culturale al mondo che ospiterà uno skatepark coperto e gratuito all’interno dei propri spazi espositivi. Koo Jeong A, da Londra, per il progetto sceglie l’ermetismo sentimenta­le: « I love it ». La creativa sudcoreana è una veterana, di installazi­oni simili ne ha già ideate tre: piste che vogliono far riflettere sullo spazio e sulla socialità, opere concettual­i ma totalmente fruibili, tanto che a Liverpool, San Paolo del Brasile e sul lago francese di Vassivière sono quotidiana­mente affollate. Ma sono tutte all’aperto. In queste ore, invece, la sua quarta creatura prende forma fra legno, gettate di cemento e colate fluo tra le sale del Palazzo dell’Arte. Nasce il primo skatepark coperto in un museo, il primo coperto e a ingresso libero di Milano. Il titolo OooOoO (la lettera O ripetuta sei volte) richiama l’ondeggiame­nto su tavola e si compone da tante «O» quante sono le vasche e le bowl a disposizio­ne. La pista apre il 27 novembre: con la sua forma a stella occupa l’intera Galleria al piano terra, allargando­si per più di 500 metri quadrati. Sarà visibile (anzi, praticabil­e) fino al 16 febbraio: chiunque potrà lanciarsi «dentro» l’installazi­one, autonomame­nte o grazie ai corsi di una vera academy pronta ad accogliere ragazzi delle scuole e semplici curiosi.

«Con il mio lavoro — spiega Koo Jeong A a “la Lettura” — vorrei dare risalto a elementi, categorie o gruppi che, a volte, sono trascurati, considerat­i marginali. Accade anche a Milano». L’artista vuole «dare anima agli spazi», renderli luogo e fucina di incontri e socialità creativa. Lo skatepark della Triennale è anche questo: «Un palcosceni­co per generazion­i diverse», un luogo che mixa discipline («design, architettu­ra, arte»), un crogiolo «di idee, azioni, pratiche». L’autrice definisce le bowl «empatiche»: «Per viverle non bisogna per forza essere skater provetti: basta provare a scivolarci dentro…».

Ma OooOoO è anche un simbolo, la testa di ponte che introduce il pubblico a un più ampio palinsesto di ricerca — tre mesi di conferenze, laboratori, approfondi­menti aperti a tutta la città — tracciato seguendo il filo rosso della cultura che ruota attorno a questo sport: cinema, musica, fotografia, moda, architettu­ra, grafica, suggestion­i sociologic­he, di integrazio­ne e molto altro. L’installazi­one, infatti, nasce in seno a Play!, progetto che è anche un po’ filosofia: dedicato al tema del gioco, ideato e curato da Julia Peyton-Jones con Lorenza Baroncelli, ve

de il percorso ludico come prova, esperienza. È un invito a lasciarsi trasportar­e, anche fisicament­e, agli antipodi della quotidiani­tà virtuale in cui tutti sono connessi con tutto ma (letteralme­nte) attraverso uno schermo. «In un’era in cui le immagini vengono riprodotte e veicolate con estrema rapidità, in cui chiunque può avvicinars­i a un’opera attraverso il proprio smartphone o tablet, le istituzion­i culturali — è il punto di partenza della Triennale — devono interrogar­si su come proporre ai visitatori nuove modalità di fruire gli spazi espositivi e di vivere l’arte o una mostra come esperienza unica». Cosa fare? Cosa organizzar­e? Johan Huizinga in Homo Ludens (1938) teorizzava: «Il gioco è essenziale per la società e l’umanità. È necessario per generare cultura». Un’idea ben chiara in viale Alemagna, non da oggi: lo dimostrano il Labi

rinto dei ragazzi dei Bbpr, creato nel 1954, o l’esposizion­e Tempo Libero del 1964. Ma se questa consapevol­ezza viene da lontano, è dagli avvallamen­ti, dalle cunette, dal cemento a prova di rotelle che emerge l’attualissi­ma risposta a un’arte vissuta senza immersione. «La nostra ambizione — prosegue Baroncelli — è duplice. La prima: aprire un’istituzion­e culturale a un pubblico che solitament­e non la frequenta, ripensando, attraverso il gioco, uno spazio di cui la cittadinan­za si potrà appropriar­e ancora di più. La seconda: raccontare una cultura complessa, che non è certo solo sportiva».

Lo skate nutre e si nutre di altri ambiti creativi. «Pensiamo alle origini dello skateboard moderno, così connesse all’architettu­ra: le bowl oggi diffuse in tutto il mondo nascono negli anni Settanta, ai te mpi dell a c r i s i i dri ca cal i fo r ni ana, quando un gruppo di ragazzi passa dalle strade alle rampe. E le rampe sono piscine: quelle iconiche, a fagiolo, progettate per la prima volta da Alvar Aalto e di moda nella Los Angeles benestante di allora». È l’estate infuocata del 1975: le vasche dalle linee flessuose dell’architetto finlandese, forzatamen­te vuote, diventando habitat ideale per le illegal back-garden

session di surfisti stanchi di aspettare le mareggiate perfette. Nasce una nuova disciplina, diventerà tendenza urbana. «Tutto questo è esempio chiaro di come l’arte e la creatività sappiano generare e rivelare sempre nuovi immaginari e forme inaspettat­e di abitare le nostre città. Perciò, in modo anche provocator­io, noi p o r t i a mo s p a z i p e r l o s k a te d e n t r o un’istituzion­e culturale».

Tra le vasche di OooOoO potranno viaggiare su tavola, contempora­neamente, fino a quindici persone. Più il pubblico: lo spazio ne potrà ospitare altre cento. L’intento è osmotico: aprire la Triennale a chi prima non ci veniva, far conoscere un mondo a chi lo osservava da lontano. «Ci aspettiamo che in pista, la mattina, arrivino i ragazzi delle scuole per i corsi, che il pomeriggio la utilizzino gli adolescent­i e la sera i profession­isti. Sarà come vedere uno spettacolo di danza...». Per la colonna sonora, il producer inglese Koreless ha fuso il graffio scivolato delle tavole alla musica. Parallelam­ente si prepara un palinsesto ricchissim­o, in cui si alterneran­no i testimonia­l: uno su tutti, il fotografo (e skater) André Lucat che approfondi­rà l’arte delle immagini catturate in movimento. L’«apertura» è anche riflession­e sulla città e con la città: seguendo le tribe — i gruppi di appassiona­ti di questo sport — e le loro interazion­i con il tessuto metropolit­ano si potranno rileggere aspetti inattesi e inediti di Milano. Ma non è finita. Play! nel 2020 avrà la sua tappa estiva: nei giardini del Palazzo nascerà un Playground pavilion (ancora misterioso) aperto a tutti. «Sul modello della Serpentine Gallery di Londra (di cui la curatrice Julia Peyton-Jones è stata a lungo ai vertici, ndr) ogni anno chiederemo a un architetto di progettare un playground che poi vorremmo di volta in volta donare a una parte difficile, periferica di Milano». È un percorso che, di nuovo, vede OooOoO fare da apripista: ideato per essere ricostruit­o altrove, lo skatepark è stato offerto dalla Triennale al Comune di Milano. Un altro modo per uscire dai propri confini e guardare lontano. «Perché l’arte — conclude Lorenza Baroncelli — ha sempre il dovere di uscire dal chiuso delle proprie mura, dall’esclusivit­à delle gallerie e dei salotti, di tornare nelle strade. E, lì, di fondersi e impastarsi con la società, raccontare la contempora­neità con passione, attraverso la bellezza».

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