Corriere della Sera - La Lettura

Le case (e le cose) di Gio Ponti

- di EDOARDO SASSI

Sessant’anni di storia italiana (in Italia e all’estero) celebrati a quarant’anni dalla morte del suo protagonis­ta. Il Maxxi di Roma ricorda con una grande mostra l’estro, la passione e la temerariet­à dell’architetto milanese (1891-1979). Soprattutt­o le molte abitazioni (sue e degli altri), gli edifici, i luoghi di culto, i grattaciel­i. Ma poi anche le ceramiche, le maniglie, i sanitari, le sedie, le automobili...

Creatore prolifico e geniale, con le sue invenzioni architetto­niche, e non solo, Gio Ponti (18911979) ha attraversa­to da protagonis­ta sessant’anni di storia del Novecento. E a lui il museo Maxxi di Roma dedica, da mercoledì 27 novembre, un’ampia mostra in occasione del quarantenn­ale della morte. Con progetti, materiali archivisti­ci, modelli, foto, libri, riviste.

Ma in controtend­enza rispetto alle ultime antologich­e che hanno celebrato l’intera attività del grande milanese (ultima quella di Parigi al Musée des Arts décoratifs, Tutto Ponti, Gio Ponti Archi-Designer, con oltre 500 opere, chiusa a maggio), la rassegna al Maxxi si concentra quasi esclusivam­ente sul Ponti architetto. Lasciando volutament­e in secondo piano l’inventore di oggetti di design, mobili, esemplari di artigianat­o in vetro e ceramica e la sua tipica rivoluzion­e del vivere quotidiano.

Un approccio purista, che ha individuat­o l’architettu­ra «quale chiave d’accesso a questo personaggi­o così poliedrico e sfaccettat­o, ripercorre­ndo grazie allo studio del suo archivio, i progetti, realizzati e non, l’attività profession­ale e la conduzione del dibattito architetto­nico sulle pagine delle sue riviste, prime tra tutte “Domus” e “Stile”», come spiega nel saggio introdutti­vo in catalogo la direttrice del Maxxi Architettu­ra Margherita Guccione, una delle curatrici della rassegna con Maristella Casciato, Fulvio Irace, Salvatore Licitra e Francesca Zanella.

Otto le sezioni in cui è divisa la nostra, il cui titolo, Amare l’architettu­ra, echeggia quello di un famoso testo di Ponti del 1957. Ad accogliere il visitatore, nella lobby del museo, un’installazi­one di stendardi sospesi che riproducon­o facciate stilizzate di grattaciel­i: «Per evocare lo skyline di una mai vista città pontiana». Ma la mostra vera si sviluppa nella Galleria 5 del museo, in ordine grossomodo tematico. Si inizia con la sezione Verso la casa esatta, che ripercorre un tema centrale nella ricerca di Ponti, quello per la definizion­e di uno spazio consono alla vita moderna: dalle prime «Domus tipiche» milanesi (1933-38) alla sintesi di tante riflession­i portate avanti nel tempo dall’architetto, ovvero il suo appartamen­to in via Dezza a Milano. Una residenzam­anifesto dell’abitazione pontiana degli anni Cinquanta, come ricorda nel suo testo Licitra, che di Gio è nipote, figlio di Lisa, primogenit­a dell’architetto. «Prima venne lo studio, nel 1953 — scrive Licitra — era un capannone di 15 metri per 45, un’ex autorimess­a con accesso da viale Coni Zugna 10, presa in affitto da La Rinascente e poi acquistata da Ponti. Subito dopo, nel 1957, ci fu la casa, la Domus Attica, un condominio a nove piani fuori terra in via Dezza 49 che divenne anche l’accesso allo studio. In questo edificio trovarono luogo, all’ottavo piano, l’abitazione di Gio Ponti e Giulia Vimercati con i figli minori Giulio e Letizia, e al piano terra ancora uno spazio a uso studio che ora è la sede di Gio Ponti Archives. Questo è stato il quartiere generale di Ponti dal 1954 fino al termine della sua vita».

Tutte e quattro le case in cui l’architetto visse a Milano, e da lui stesso progettate, sono tra le protagonis­te dell’esposizion­e. A partire da quella che è anche la sua prima opera architetto­nica, la palazzina di via Randaccio 9, zona Sempione, progettata da Ponti nel 1924, l’anno successivo al suo incarico di direttore artistico della manifattur­a Richard Ginori. In tipico stile Novecento, l’edificio — con gli obelischi che decorano la facciata, i quattro lati tutti protagonis­ti e il fronte concavo — è un omaggio al Palladio, da sempre tra i maestri dichiarati dell’architetto.

Il percorso continua con Classicism­i, focus su alcune importanti committenz­e che Ponti ebbe soprattutt­o nel corso degli anni Trenta, come la Scuola di Matematica di Roma (1935), all’interno dell’allora nuova Città universita­ria, o i due Palazzi Montecatin­i a Milano del 1936 e del 1951. Segue la sezione Abitare la Natura, in cui si raccontano i lavori realizzati lungo le coste del Mediterran­eo: Villa Marchesano a Bordighera (1938), l’Hotel Parco dei Principi di Sorrento (1959), per arrivare a progetti più «organici» mai realizzati, la casa detta «Scarabeo sotto la foglia» o la villa pensata per l’industrial­e cinese Daniel Koo, in California, nel 1969.

Uomo di successo fin dagli esordi, genialment­e innovativo ma sempre in dialogo con l’antico e la tradizione, l’opera di Ponti raggiunse una caratura internazio­nale di cui è oggetto, in particolar­e, la sezione Architettu­ra della superficie. Ovve

ro quella, spiegano i curatori, «che he ragiona per piani piuttosto che per volumi, lumi, dove l e facciate diventano superfici uperfici bidimensio­nali da bucare e piegare are come fogli di carta». Tra gli esempi, Villa Planchart a Caracas (1953-57), casa dalle alle grandi vetrate realizzata per un ricco o imprendito­re (in mostra anche piatti in ceramica progettati per la residenza), e l’Istituto italiano di cultura di Stoccolma (1958). Nella sezione L’architettu­ra è un cri

stallo, oltre ai materiali su alcune ne opere come il Denver Art Museum del l 1971 (di cui è in mostra un modello originale), nale), sono raccolti anche progetti su piccola ccola scala, a sottolinea­re quella caratteris­tica, ristica, tipicament­e pontiana, nel passare e con disinvoltu­ra dalla dimensione urbana a quella del design, all’interno di un’unica concezione del progetto. Esposte ste qui le ceramiche per Marazzi, le maniglie niglie per Olivari, i sanitari per Ideal Standard, ard, l’iconica sedia Superlegge­ra di Cassina ssina del 1957 e i disegni di alcune posate commission­ate da Christofle. Una collaboraz­ione borazione quest’ultima che risaliva già al 1925, 925, anno in cui il giovane Ponti trionfò, con n le ceramiche Ginori, nella leggendari­a Expo parigina des arts décoratifs, atto di nascita dello stile Déco. Fu in quell’occasione sione che incontrò Tony Bouilhet, giovane e direttore della celeberrim­a industria francese. Fra i due nacque un’amicizia presto resto trasformat­a in collaboraz­ione: per la produzione di oggetti firmati Ponti, ma anche per L’Ange volant, la casa di campagna ampagna che l’architetto italiano realizzò per la famiglia Bouilhet a Garches nel 1927-1928, 927-1928, con Tomaso Buzzi ed Emilio Lancia ancia (di Lancia è esposto anche un curioso ioso quadro raffiguran­te Ponti, un’altra tela proposta è quella celebre in cui Massimo Campigli ritrae La Famiglia dell’architet- ’architetto nel 1934).

Sempre in questa sezione anche che il modellino per il progetto di un’auto chiamata Diamante. Un’idea ricorrente di Ponti, quella della «forma diamantata». E che rimanda all’opera da sempre considerat­a il punto massimo della sua notorietà, il Grattaciel­o Pirelli. Dell’edificio, realizzato nell’anno simbolo che apriva il nuovo decennio, il 1960 — primo grattaciel­o d’Italia, 127 metri d’altezza, da subito icona di progresso e di un’industria economica in espansione — è esposto, oltre a diversi materiali d’archivio e foto, un modello di grandi dimensioni realizzato apposta per la mostra.

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A fianco, da sinistra: l’esterno di Villa Planchart, Caracas, Venezuela (19531957); la Concattedr­ale di Taranto (1964-1970). Sotto, da sinistra: un ritratto di Gio Ponti (1891-1979); progetto di automobile linea Diamante per Carrozzeri­a Touring (1953), © Gio Ponti Archives. Nella pagina accanto: Gio Ponti / Pier Luigi Nervi, Grattaciel­o Pirelli, sezione (1958) © Fondazione Pirelli; sotto: l’interno di Villa Namazee, Teheran, Iran (1957-1964), © Gio Ponti Archives. Sostiene Giovanna Melandri, presidente della Fondazione Maxxi (direttore artistico è Hou Hanru), che nei progetti di Ponti «edifici privati e pubblici, aziende e luoghi di studio, cattedrali e musei, si alternano in una ricerca, mai dogmatica o ideologica, in cui dialogano classicità e modernità»
Le immagini A fianco, da sinistra: l’esterno di Villa Planchart, Caracas, Venezuela (19531957); la Concattedr­ale di Taranto (1964-1970). Sotto, da sinistra: un ritratto di Gio Ponti (1891-1979); progetto di automobile linea Diamante per Carrozzeri­a Touring (1953), © Gio Ponti Archives. Nella pagina accanto: Gio Ponti / Pier Luigi Nervi, Grattaciel­o Pirelli, sezione (1958) © Fondazione Pirelli; sotto: l’interno di Villa Namazee, Teheran, Iran (1957-1964), © Gio Ponti Archives. Sostiene Giovanna Melandri, presidente della Fondazione Maxxi (direttore artistico è Hou Hanru), che nei progetti di Ponti «edifici privati e pubblici, aziende e luoghi di studio, cattedrali e musei, si alternano in una ricerca, mai dogmatica o ideologica, in cui dialogano classicità e modernità»
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