Corriere della Sera - La Lettura

Da ebreo io dico: non dobbiamo temere Wagner

- Conversazi­one tra OMER MEIR WELLBER e PIERO STEFANI a cura di VALERIO CAPPELLI

Omer Meir Wellber a gennaio porterà il «Parsifal» a Palermo, la città dove venne composto e dove non viene eseguito da 65 anni. «La Lettura» ha fatto dialogare il direttore d’orchestra israeliano con il biblista Piero Stefani sull’antisemiti­smo del compositor­e, sull’appropriaz­ione da parte del nazismo e sui tabù che ancora circondano la sua musica

Richard Wagner continua a essere un caso nella cultura d’Occidente, anomalia che ne scavalca la rivoluzion­e estetica. Per il nazismo la musica fu tra i principali veicoli di propaganda, ogni evento politico era accompagna­to dalla musica. Non c’è una legge che vieti Wagner in Israele che però resta un tabù. Il Teatro Massimo di Palermo, città che ha nominato assessore alla Cultura il palestines­e Adham Darawsha, aprirà a gennaio la stagione col

Parsifal diretto da Omer Meir Wellber, israeliano. Da qui nasce la conversazi­one de «la Lettura» con lo stesso Wellber e Piero Stefani, studioso di ebraismo e docente alla Facoltà teologica dell’Italia settentrio­nale di Milano.

Hitler usa «Rienzi» nelle cerimonie, fa suonare la marcia di Sigfrido alle esequie di ufficiali: è il pioniere dell’ideologia nazista?

OMER MEIR WELLBER — Wagner morì sei anni prima che nascesse Hitler. È importante tenerlo a mente, perché magari si pensa che Wagner camminasse nelle strade del Terzo Reich. Ha lasciato i suoi scritti, pessima filosofia da due euro, e due potenti testimoni femminili. Il nazismo di Wagner si chiama Cosima, la moglie, nonché figlia di Liszt: antisemita che capì il business che un musicista poteva muovere attraverso il nazionalso­cialismo. Era una nazista convinta, credeva in Hitler come profeta di un mondo nuovo; trovò il successore di Wagner a teatro, che non era il loro figlio, Siegfried, stupido e (macchia per i nazisti) omosessual­e. A Siegfried hanno trovato una donna inglese, Winifred, che era l’amante di Hitler e prese il testimone di Wagner abbraccian­done la parte ideologica e musicale, prendendo le redini a Bayreuth sotto il nazismo.

PIERO STEFANI — Se vogliamo contestual­izzare il periodo prenazista c’è anche un altro personaggi­o inglese, Houston Stewart Chamberlai­n. Nel 1908 sposò Eva, figlia di Cosima e di Wagner. Egli sviluppò, esaltandol­o, il concetto di razza ariana, una deriva funzionale all’ideologia hitleriana. OMER MEIR WELLBER — Si stava dando quasi più importanza al Wagner filosofo che alla sua musica, un fenomeno esploso col nazismo. Se come compositor­e è uno dei più importanti, come filosofo è l’ultimo. Voleva essere quel che non è: scrittore, saggista. E tanto di ciò che stiamo dicendo nasceva dal suo carattere terribile. Un manipolato­re, un bugiardo con debiti ovunque, un orrore: la moglie Cosima era stata sposata con Hans von Bülow, il suo migliore amico. Un esempio della sua filosofia da due euro? Ne L’ebraismo nella musica trova caratteri comuni ebraici nella scrittura di ebrei famosi. Ridicolo. Dice che il contrappun­to di Mendelssoh­n fosse mediocre, lo riteneva un modo ebraico di comporre musica, che non valeva niente.

PIERO STEFANI — Poi c’è il convitato di pietra, Giacomo Meyerbeer, all’epoca più famoso di Wagner, il quale per di più ha un debito di riconoscen­za nei suoi confronti. Nel saggio wagneriano non viene però mai nominato: le relazioni personali e la gelosia giocano un ruolo rilevante. OMER MEIR WELLBER — Vengono in mente le fake news di oggi: questa filosofia autorefere­nziale si ritrova nei libretti, penso a Das

Rheingold dove c’è Mime, il nano deforme, schiavo, però intelligen­te e manipolato­re. La scelta di andare sui miti nordici? OMER MEIR WELLBER — È furba: riportò in auge questi ideali, all’epoca considerat­i old fa s hi o n, in modo nuovo e moderno. Die Walküre comincia con un fratello e una sorella che fanno sesso e mettono al mondo un figlio. In ogni opera Wagner portava conflitti amorali, ed è il contrario di quello che fanno i miti.

L’antisemiti­smo di Wagner è figlio e espression­e del clima culturale tedesco, e di radici remote pagane, «sovrumanis­tiche»?

PIERO STEFANI — Il principio guida è simbolicam­ente rappresent­ato da una frase di Stanislas de Clermont-Tonnere all’Assemblea costituent­e francese nel 1789: tutto va concesso agli ebrei come individui, nulla va concesso loro come popolo. I successivi orientamen­ti illiberali valutarono la situazione in questi termini: gli ebrei erano stati resi uguali agli altri senza esserlo effettivam­ente. La questione cruciale divenne quella di sapere se fossero riusciti a emancipars­i anche dalla loro irriducibi­le, inquietant­e diversità collettiva. Wagner, al contrario di Hitler, riteneva possibile che un ebreo attraverso l’arte potesse diventare tedesco. La prima del Parsifal fu diretta, per volontà di Wagner, da Hermann Levi, figlio di un rabbino. Per Hitler la redenzione attraverso l’arte era esclusa. Nel consueto stilema antisemita, si registra sempre una sopravvalu­tazione del pericolo costituito dagli ebrei.

Le questioni aperte da Wagner sono emergenze culturali e politiche attuali. Per lo scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua, l’antisemiti­smo riemerge quando si presentano condizioni di crisi e debolezza.

PIERO STEFANI — Serve un approccio storico di lunga durata. Gli ebrei nei paesi cristiani sono stati considerat­i una minoranza diversa dalle altre. Per l’antigiudai­smo cristiano questo piccolo popolo che si rifiutava di convertirs­i teneva in scacco il compimento della storia della salvezza. Laddove, come avvenne in India e Cina, quella ebraica era percepita come una minoranza qualunque non si registrano fenomeni paragonabi­li a quelli in Occidente.

OMER MEIR WELLBER — Io sono nato in Israele e, rispetto agli amici ebrei europei della diaspora, c’è una grande differenza. Provengo da una cultura di potenza e loro di minoranza, questo crea un punto di vista diverso sull’ebraismo, anche sul modo di essere critici: per loro essere duri con lo Stato d’Israele risulta difficile, si portano dentro un romanticis­mo che li condiziona. Vivo a Dresda, oggi centro del razzismo tedesco. Si radunano sotto casa mia ogni lunedì da 10 anni. Da qualche tempo c’è gente con bandiere israeliane. Interessan­te no? Ho chiesto: scusate, che significa? E loro, riferendos­i all’islam: semplice, se abbiamo lo stesso nemico noi due siamo amici. Troppa gente confonde l’essere anti-Israele con l’antisemiti­smo. Sono cose separate.

PIERO STEFANI — Succede pure l’opposto, ci possono essere antisemiti filo-israeliani.

OMER MEIR WELLBER — Certo. L’antisemita dice: ti odio perché sei nato così. L’antiisrael­iano: ti odio perché fai queste cose. Si parla di gente sotto i 25 anni, annoiata e in genere disturbata, senza lavoro. Questo dà identità. Poi c’è l’islam, il terrorismo viene da una comunità, quella. Questo un israeliano può dirlo, un ebreo d’Europa no. Perché «Parsifal» per cominciare il suo percorso a Palermo? OMER MEIR WELLBER — Penso al lavoro inclusivo del sindaco sugli immigrati. Come teatro posso ignorarlo, o aggiungere altri valori. Parsifal, che parla di un estraneo e del ruolo delle donne, è perfetto. Ogni tanto ho voglia di affrontare i démoni e sono mesi duri di preparazio­ne, ogni tanto no.

Sul «Parsifal», il direttore Giuseppe Sinopoli diceva di essere sedotto dalla sua conturbant­e ambiguità. OMER MEIR WELLBER — Sicurament­e c’è. Quest’opera per tanti anni è quasi diventata un nuovo modo di fare una Messa, il giorno di Pasqua, ogni anno a Dresda, Sinopoli dirigeva

Parsifal. Il tipo di Messa che Wagner propone non si accorda con la teologia cristiana, però

c’è la musica del Venerdì Santo... Colpa e peccato, purezza e castità. PIERO STEFANI — Il peccato c’entra poco perché esige la presenza, sull’altro versante, della redenzione, argomento lontano dal sentire comune, ma che è portante in Parsifal. Il problema della redenzione in Germania ha una lunga storia. Si può risalire fino a Lutero che fu strumental­izzato nel processo di Norimberga da Julius Streicher, il direttore di una rivista antisemita, che disse: in fondo ho fatto ciò che ha detto Lutero, sul banco degli imputati avrebbe dovuto sedere lui.

OMER MEIR WELLBER — Colpa e peccato è un tema sfruttato, inattuale: l’idea di un’entità divina che ci punirà è folclorist­ica.

Dopo «Parsifal», Herbert von Karajan diceva di uscire trasmutato, per altri direttori c’è qualcosa di misteriosa­mente pericoloso. OMER MEIR WELLBER — Ridicolo, la musica non è pericolosa: possono esserlo i musicisti. Il mio ruolo non è di essere ispirato ma ispirare. Questo c’entra col Parsifal: avrò un approccio matematico, asciutto. Già la musica è piena di contenuto, non devo aggiungere né sarò la ciliegina sul tiramisù. Questo spirituali­smo è fake. Lo dico in modo provocator­io: non salirò sul podio con le candele in mano.

A Bayreuth nel 2008 Daniele Gatti diresse «Parsifal». Gli stessi spettatori che avevano acquistato libri reducisti di fronte al teatro, protestaro­no per le bandiere naziste sventolate nell’allestimen­to di Stefan Herheim.

OMER MEIR WELLBER — È come per le bandiere israeliane a Dresda! Quando tra 10 anni a Bayreuth, forse, si capirà che non può essere soltanto un festival monolitico e si potranno ascoltare anche Richard Strauss e Giuseppe Verdi, si toglierà a Wagner l’aura religiosa e poco dopo si potrà suonare in Israele. Sui direttori ebrei che hanno fatto Wagner, l’idea era di dire: ci sono pure ebrei buoni, che vengono dalla nostra parte. Morto Wagner la musica si è divisa in due: wagneriani e antiwagner­iani. Antiwagner­iano Strauss in fondo lo fu, a livello filosofico. Lui fu la delusione di Cosima: quando gli mandò i bozzetti e le idee di Salome lei rimase scioccata, pensava fosse l’epigono di Wagner, invece scelse quel testo di Oscar Wilde, omosessual­e, su una donna che uccide gli uomini, amorale e non redentrice, dunque antiwagner­iana. Strauss non ebbe più contatti con la famiglia Wagner.

«Wagner era antisemita ma mi inchino al suo genio», afferma Daniel Barenboim, di cui lei fu assistente fra Berlino e la Scala. OMER MEIR WELLBER — Ciò che dice Barenboim è giusto e sbagliato, i fatti sono giusti, la sua interpreta­zione dei fatti è sbagliata. Ne parliamo sempre, lui e io. Perché Hitler ha scelto Wagner e non Beethoven? Wagner qualche colpa ce l’ha. Quanto a suonarlo in Israele, finché lo teniamo come un guru, sarà ingiusto. Quando sarà un compositor­e e basta, allora si potrà suonare. Zubin Mehta dice che finché c’è un sopravviss­uto con i segni sull’avambracci­o… Il sopravviss­uto della mia famiglia al Lager mi dice: io lì dentro non ho sentito Wagner ma Schubert. Che cosa facciamo, proibiamo Franz Schubert, adesso?

Woody Allen su Wagner: quando lo ascolto mi viene da invadere la Polonia. Nessun musicista come Wagner provoca attrazione e repulsione: resterà come un marchio nel nostro inconscio? OMER MEIR WELLBER — Quando dirigo marce militaresc­he di Wagner mi risveglian­o sentimenti che non vorrei avere. Le odio, ma quando sono in buca mi piace dirigerle.

PIERO STEFANI — La battuta è brillante ma anche collocata post eventum. L’umorismo ebraico aiutava a vivere in condizioni difficili. Nel 1939 nessuno avrebbe potuto dire quella battuta.

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