Corriere della Sera - La Lettura

«Fuoco sulla benzina Però il popolo è solo»

- Di VIVIANA MAZZA

Come se fosse stato eretto un muro tra la Repubblica islamica e il resto del mondo: centinaia di migliaia di iraniani all’estero per giorni non hanno potuto parlare con le famiglie, tagliati fuori da ogni contatto via internet da un blackout senza precedenti imposto dal regime, mentre decine di manifestan­ti venivano uccisi e tantissimi arrestati nelle proteste scoppiate il 15 novembre. L’autrice Fereshteh Molavi, 66 anni, stile sobrio, influenzat­a da Cechov sia nei temi che nei dialoghi, famosa per il romanzo Khaneh-ye abr-o-bad («La casa delle nuvole e del vento») e i racconti Cani e uomini (solo un suo racconto è tradotto in italiano nella raccolta Anche questa è Teheran, credetemi!, Schema editore, a cura di Leila Karami) è riuscita a parlare con i parenti che l’hanno raggiunta a Toronto per telefono, l’unico mezzo di comunicazi­one in parte funzionant­e.

Perché la gente protesta?

«Sembra una domanda semplice ma non lo è. C’è una causa scatenante, stavolta l’aumento del prezzo della benzina, e c’è l’insoddisfa­zione generale nei confronti del regime. La gente è molto preoccupat­a: la disoccupaz­ione, l’inflazione, i problemi economici aggravati dalle sanzioni si sommano a una sfiducia che è cresciuta gradualmen­te negli ultimi quarant’anni, dall’inizio di questo regime. La benzina in Iran non è un prodotto qualsiasi: è un simbolo. Le classi medio-basse si chiedono perché debbano pagare di più, visto che possediamo petrolio e gas. Se a causa delle sanzioni c’è un deficit di bilancio, andrebbe tagliata la grossa fetta di quel bilancio che va alla Guida suprema e ai Guardiani della rivoluzion­e, anziché far ricadere il peso su gente che stenta già a sopravvive­re. Molti per arrivare a fine mese fanno i tassisti come secondo o terzo lavoro: per loro, se il prezzo della benzina aumenta, significa non poter guadagnare abbastanza. Inoltre temono, sulla base di esperienze passate, che ci sarà un impatto sui costi di altri beni».

Il regime è nervoso per le proteste in Iraq e in Libano?

«Certo, le autorità cercano di disconnett­ere il popolo iraniano dal resto del mondo, inclusi Iraq e Libano perché, in questo momento, i manifestan­ti in quei Paesi gridano slogan contro la Guida suprema e mostrano la propria insoddisfa­zione contro l’influenza della Repubblica islamica. I nostri giovani vogliono manifestar­e anche perché, come in Libano e in Iraq, vogliono mostrare che desiderano una vita migliore. I miei parenti mi dicono che a Teheran anche il segnale delle tv satellitar­i era disturbato: le autorità cercano di impedire che la gente riceva informazio­ni».

In piazza ci sono soprattutt­o giovani uomini...

«Da quello che vedo da video e social, sono soprattutt­o giovani, come spesso accade. E anche le vittime lo sono. Non hanno lavoro né denaro, non hanno quel che serve per costruire una vita. Sono connessi al resto del mondo e intuiscono la disponibil­ità che esiste altrove. Pensano di non avere niente da perdere se scendono in strada. I video vengono girati con

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