Corriere della Sera - La Lettura

«La provincia insorge: ogni male è nel centro»

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

Li aveva visti arrivare da lontano: prima i berretti rossi della Bretagna, nel 2013, contro le tasse sul trasporto merci; poi i gilet gialli, l’anno scorso. Sempre con la capitale come nemico. La profezia in forma di romanzo di

«Ho scritto il romanzo prima della rivolta. Quando la casa editrice lo ha mandato in stampa, nel novembre 2018, cominciava­no i primi raduni di protesta nelle rotonde stradali. All’arrivo nelle librerie, il 4 gennaio scorso, le manifestaz­ioni erano esplose e avevano raggiunto Parigi», dice l’autore di État de nature («Stato di natura», edito da Aux forges de vulcain), il romanzo che ha anticipato con precisione stupefacen­te l’insurrezio­ne dei gilet gialli: segno che lo scrittore conosce bene la società francese e che i tempi erano maturi per gli slogan contro il governo e il presidente Macron, l’assalto al potere centrale, le auto incendiate e gli scontri con la polizia.

Jean-Baptiste de Froment, 42 anni, è un alto funzionari­o che è stato, tra l’altro, giovane consiglier­e all’Eliseo ai tempi della presidenza Sarkozy. Prima che le scene degli Champs Élysées in fiamme facessero il giro del mondo, Froment ha raccontato una Francia del 2019 retta da una stanca presidente al terzo mandato, che tutti chiamano La Vieille, la Vecchia. Al suo fianco c’è Claude, il protagonis­ta della storia, che sogna di impadronir­si del potere. I piani saltano quando Farejeaux, potente notabile locale, chiede a Claude di togliergli di mezzo la giovane prefetta Barbara Vauvert, che ha saputo conquistar­e la stima degli abitanti della «Douvre intérieure», immaginari­o dipartimen­to rurale simbolo della Francia profonda e abbandonat­a da Parigi. L’allontanam­ento della prefetta scatena la rivolta popolare, la popolazion­e dimenticat­a esprime la sua collera e si pone al centro dell’azione.

Come le è venuto in mente di scrivere un romanzo «di anticipazi­one» di questo tipo?

«Volevo raccontare una specie di favola intemporal­e sulla Francia, dove l’opposizion­e tra Parigi e il resto del Paese, che noi chiamiamo indistinta­mente “provincia”, è più forte che in qualsiasi altra nazione. È una realtà inimmagina­bile per esempio in Italia, dove ci sono molte regioni con una identità e capoluoghi importanti».

Ma come immaginare un’insurrezio­ne, pochi mesi prima che si verifichi realmente?

«Mi è sembrato che le tensioni tra Parigi e la provincia, che sono sempre esistite, si stessero esacerband­o e approfonde­ndo. C’erano tutti gli ingredient­i perché il conflitto esplodesse prima o poi, anche se non sapevo quando. Ho scelto di collocare l’azione nel 2019 perché era un futuro prossimo. A dire il vero, oltre al tema di fondo Parigi-provincia, c’è stata poi una scintilla particolar­e».

Quale?

«La rivolta dei cosiddetti “berretti rossi”, che è scoppiata in Bretagna a fine 2013 contro le nuove tasse sui trasporti delle merci».

Cosa le hanno ispirato i berretti rossi?

«L’idea di una protesta che partisse dalla periferia. A parte le jacquerie medievali, che comunque non erano movimenti politici strutturat­i, in Francia tutte le rivolte sono cominciate da Parigi, la grande città sede delle avanguardi­e. Ho pensato di invertire il paradigma e di immaginare una rivolta che partisse dalle campagne, da territori abbandonat­i e giudicati arretrati, non al passo con i tempi, ignorati dalla globalizza­zione».

Storicamen­te invece la campagna rappresent­a la conservazi­one e la città il progresso?

«È una semplifica­zione che ovviamente ignora le sfumature, ma diciamo che nell’Ottocento e ancora nel secolo scorso è stato un po’ così. Anche il Maggio 1968 si è svolto a Parigi, la città delle classi più irrequiete, degli studenti e degli operai. Non è un caso che Luigi XIV decise di spostare la corte da Parigi, che gli ricordava la Fronda e altri pericoli, alla più tranquilla e sicura Versailles. E durante la Seconda guerra mondiale, quando il maresciall­o Pétain di triste memoria dovette scegliere la capitale della cosidetta Francia libera, avrebbe potuto naturalmen­te pensare a Lione, la città più grande e importante della zona, ma preferì la piccola città termale di Vichy».

Nel romanzo e nella realtà, è accaduto l’inverso. La protesta nasce in campagna.

«È così. I gilet gialli hanno cominciato a radunarsi nelle rotonde, la rabbia è partita dalle zone periferich­e».

«Farejeaux era uno di quei notabili di provincia che, a forza di banchetti, si mettono a somigliare fisicament­e alle specialità

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