Corriere della Sera - La Lettura

«Sbagliato processare l’indipenden­tismo»

- Di ELISABETTA ROSASPINA

È il romanziere che ha ridato vita al detective Pepe Carvalho, partorito dalla fantasia di Manuel Vázquez Montalbán

Dice «Che errore tribunaliz­zare il caso». E l’esilio di Puigdemont a Waterloo? «Adeguiamo la vita ai miti»

Chissà se Pepe Carvalho è andato a votare per l’indipenden­za della Catalogna, il primo ottobre 2017, nella sua Barcellona in fiamme. Chissà se solidarizz­a con la causa di Carles Puigdemont, il leader in esilio a Waterloo. Chissà se ha mai gridato, o anche pensato, Proclamem la independèn­cia ara!, proclamiam­o l’indipenden­za ora. Quasi certamente no. E, in ogni caso, i suoi freschi Problemi di identità si sono fermati giusto un mese e mezzo prima della (fallita) rivoluzion­e secessioni­sta, alla vigilia degli attentati jihadisti sulla Rambla e a Cambrils, il 17 agosto dello stesso anno.

Rimasto improvvisa­mente orfano nell’ottobre 2003, il memorabile investigat­ore generato trent’anni prima da Manuel Vázquez Montalbán, è stato adottato un paio di anni fa da Carlos Zanón, avvocato, poeta, romanziere, critico letterario e musicale, su espressa richiesta della famiglia e di Planeta, la casa editrice di Vázquez Montalbán.

Sebbene con qualche iniziale e comprensib­ile titubanza, il nuovo autore ha dunque accettato di restituire alla Ciudad Condal uno dei suoi simboli letterari più longevi. Con qualche indispensa­bile aggiustame­nto anagrafico; perché, a conti fatti, Pepe Carvalho, classe 1939, dovrebbe avere già compiuto ottant’anni, ma ne dichiara cinquanta, è ancora in grado di fare a botte, di condurre tre inchieste alla volta e un’esistenza discretame­nte libertina.

A essere molto cambiata, invece, è Barcellona. E non soltanto dal punto di vista urbanistic­o. Apparso trentenne al termine della lunga notte franchista, nel 1972, Carvalho ha attraversa­to con successo gli anni sofferti della Transizion­e verso la democrazia, della Movida, del boom economico e turistico, della relativa quiete politica, con l’egemonia in Catalogna di Convergènc­ia i Unió, Convergenz­a e Unione, sotto la ventennale presidenza di Jordi Pujol, prima di addormenta­rsi e risvegliar­si quasi quindici anni dopo nel caos.

«Mi chiedo spessissim­o che cosa penserebbe lo Scrittore di questo e di quello. Cosa direbbe di tutto ciò che succede adesso in questa città, in questo Paese, in questo mondo...» gli fa dire Zanón già a pagina 58 del romanzo della rinascita, Problemi di identità (Sem, traduzione di Bruno Arpaia). «Lo Scrittore», Vázquez Montalbán, stroncato da un infarto all’aeroporto di Bangkok, non può più risponderg­li. E il suo esegeta, di passaggio a Milano per BookCity, assieme al traduttore in catalano di Andrea Camilleri, Pau Vidal, preferireb­be non spingere Carvalho nella zuffa senza fine tra unionisti e indipenden­tisti. Ma non può impedirgli di respirare l’attualità e di cogliere le discussion­i nei bar su «l’Argomento per antonomasi­a». L’indipenden­za, certo.

«Non mi piacciono le bandiere. Per quanto mi riguarda, non ho neanche compatriot­i — stabilisce il detective, da impeccabil­e cavaliere solitario —. Un’idea con cui sono d’accordo più di tre persone mi sembra già altamente sospetta». E ancora non sa quale pandemonio scateneran­no in autunno le prove tecniche di secessione, con il commissari­amento della Catalogna da parte del Partido Popular al governo, le fughe, gli arresti, le marce di protesta, i processi, le condanne, gli scontri fra dimostrant­i e Mossos, e i sit-in all’aeroporto del Pratt e nella stazione di Sants.

È solo perché all’oscuro che Carvalho non si sbilancia sugli avveniment­i?

«Quando stavo scrivendo, nel luglio 2017, la situazione era già folle ed era difficile capire che cosa stesse accadendo e che cosa sarebbe accaduto. Se mi fossi proiettato verso il futuro — spiega Carlos Zanón, seduto a un tavolino della caffetteri­a del Teatro Parenti a Milano con Pau Vidal — avrei rischiato di scrivere un libro di fantascien­za o di cadere nel ridicolo. Così ho deciso che Carvalho non avesse bandiere. Mentre gli altri personaggi esprimono i loro differenti punti di vista sul conflitto politico in Catalogna».

Gl i u l t i mi s o n d a g g i d e l C e o , C e n t r e d’Estudis d’Opinió, indicano che l’indipenden­tismo sta perdendo terreno, con un 41,9% di sostenitor­i e un 48,8% di contrari. Ma l’opinione pubblica resta comunque spaccata a metà.

«La società catalana è effettivam­ente polarizzat­a e tesa tra due estremi, apparentem­ente inconcilia­bili. Ma, a prescinder­e dallo schieramen­to, in Catalogna cresce il numero di persone che sta cercando una soluzione politica a un problema che è stato invece, per così dire, tribunaliz­zato. È stato un errore trasferirl­a sul piano giudiziari­o. Non era il caso di incarcerar­e Oriol Junqueras e gli altri dirigenti politici».

Pau Vidal, la «voce» catalana di Salvo Montalbano, è d’accordo: «In situazioni analoghe, altrove si è trovato un equilibrio. Per esempio tra Canada e Quebec o tra Scozia e Inghilterr­a. Tenere in prigione i leader politici peggiora le cose».

Se il potere esecutivo e quello giudiziari­o sono separati, non è stato però il governo a decidere condanne fino a 13 anni per sedizione. Sono esagerate?

«Certo — conferma Zanón —, non si è tenuto conto delle differenze tra fatti e intenzioni. Quando ha delineato il quadro penale, il legislator­e aveva in mente l’esperienza della Spagna in fatto di rivolte militari e tentati colpi di Stato. Ma in Catalogna non c’è stata un’insurrezio­ne armata. Molte promesse d’indipenden­za dei leader nazionalis­ti non sarebbero mai state attuate, erano uno stratagemm­a per negoziare. Anche l’Europa dovrebbe avere qualcosa da dire al riguardo».

Che cosa potrebbe o dovrebbe dire l’Ue?

«Per esempio potrebbe convincere le parti

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