Corriere della Sera - La Lettura
«Sbagliato processare l’indipendentismo»
È il romanziere che ha ridato vita al detective Pepe Carvalho, partorito dalla fantasia di Manuel Vázquez Montalbán
Dice «Che errore tribunalizzare il caso». E l’esilio di Puigdemont a Waterloo? «Adeguiamo la vita ai miti»
Chissà se Pepe Carvalho è andato a votare per l’indipendenza della Catalogna, il primo ottobre 2017, nella sua Barcellona in fiamme. Chissà se solidarizza con la causa di Carles Puigdemont, il leader in esilio a Waterloo. Chissà se ha mai gridato, o anche pensato, Proclamem la independència ara!, proclamiamo l’indipendenza ora. Quasi certamente no. E, in ogni caso, i suoi freschi Problemi di identità si sono fermati giusto un mese e mezzo prima della (fallita) rivoluzione secessionista, alla vigilia degli attentati jihadisti sulla Rambla e a Cambrils, il 17 agosto dello stesso anno.
Rimasto improvvisamente orfano nell’ottobre 2003, il memorabile investigatore generato trent’anni prima da Manuel Vázquez Montalbán, è stato adottato un paio di anni fa da Carlos Zanón, avvocato, poeta, romanziere, critico letterario e musicale, su espressa richiesta della famiglia e di Planeta, la casa editrice di Vázquez Montalbán.
Sebbene con qualche iniziale e comprensibile titubanza, il nuovo autore ha dunque accettato di restituire alla Ciudad Condal uno dei suoi simboli letterari più longevi. Con qualche indispensabile aggiustamento anagrafico; perché, a conti fatti, Pepe Carvalho, classe 1939, dovrebbe avere già compiuto ottant’anni, ma ne dichiara cinquanta, è ancora in grado di fare a botte, di condurre tre inchieste alla volta e un’esistenza discretamente libertina.
A essere molto cambiata, invece, è Barcellona. E non soltanto dal punto di vista urbanistico. Apparso trentenne al termine della lunga notte franchista, nel 1972, Carvalho ha attraversato con successo gli anni sofferti della Transizione verso la democrazia, della Movida, del boom economico e turistico, della relativa quiete politica, con l’egemonia in Catalogna di Convergència i Unió, Convergenza e Unione, sotto la ventennale presidenza di Jordi Pujol, prima di addormentarsi e risvegliarsi quasi quindici anni dopo nel caos.
«Mi chiedo spessissimo che cosa penserebbe lo Scrittore di questo e di quello. Cosa direbbe di tutto ciò che succede adesso in questa città, in questo Paese, in questo mondo...» gli fa dire Zanón già a pagina 58 del romanzo della rinascita, Problemi di identità (Sem, traduzione di Bruno Arpaia). «Lo Scrittore», Vázquez Montalbán, stroncato da un infarto all’aeroporto di Bangkok, non può più rispondergli. E il suo esegeta, di passaggio a Milano per BookCity, assieme al traduttore in catalano di Andrea Camilleri, Pau Vidal, preferirebbe non spingere Carvalho nella zuffa senza fine tra unionisti e indipendentisti. Ma non può impedirgli di respirare l’attualità e di cogliere le discussioni nei bar su «l’Argomento per antonomasia». L’indipendenza, certo.
«Non mi piacciono le bandiere. Per quanto mi riguarda, non ho neanche compatrioti — stabilisce il detective, da impeccabile cavaliere solitario —. Un’idea con cui sono d’accordo più di tre persone mi sembra già altamente sospetta». E ancora non sa quale pandemonio scateneranno in autunno le prove tecniche di secessione, con il commissariamento della Catalogna da parte del Partido Popular al governo, le fughe, gli arresti, le marce di protesta, i processi, le condanne, gli scontri fra dimostranti e Mossos, e i sit-in all’aeroporto del Pratt e nella stazione di Sants.
È solo perché all’oscuro che Carvalho non si sbilancia sugli avvenimenti?
«Quando stavo scrivendo, nel luglio 2017, la situazione era già folle ed era difficile capire che cosa stesse accadendo e che cosa sarebbe accaduto. Se mi fossi proiettato verso il futuro — spiega Carlos Zanón, seduto a un tavolino della caffetteria del Teatro Parenti a Milano con Pau Vidal — avrei rischiato di scrivere un libro di fantascienza o di cadere nel ridicolo. Così ho deciso che Carvalho non avesse bandiere. Mentre gli altri personaggi esprimono i loro differenti punti di vista sul conflitto politico in Catalogna».
Gl i u l t i mi s o n d a g g i d e l C e o , C e n t r e d’Estudis d’Opinió, indicano che l’indipendentismo sta perdendo terreno, con un 41,9% di sostenitori e un 48,8% di contrari. Ma l’opinione pubblica resta comunque spaccata a metà.
«La società catalana è effettivamente polarizzata e tesa tra due estremi, apparentemente inconciliabili. Ma, a prescindere dallo schieramento, in Catalogna cresce il numero di persone che sta cercando una soluzione politica a un problema che è stato invece, per così dire, tribunalizzato. È stato un errore trasferirla sul piano giudiziario. Non era il caso di incarcerare Oriol Junqueras e gli altri dirigenti politici».
Pau Vidal, la «voce» catalana di Salvo Montalbano, è d’accordo: «In situazioni analoghe, altrove si è trovato un equilibrio. Per esempio tra Canada e Quebec o tra Scozia e Inghilterra. Tenere in prigione i leader politici peggiora le cose».
Se il potere esecutivo e quello giudiziario sono separati, non è stato però il governo a decidere condanne fino a 13 anni per sedizione. Sono esagerate?
«Certo — conferma Zanón —, non si è tenuto conto delle differenze tra fatti e intenzioni. Quando ha delineato il quadro penale, il legislatore aveva in mente l’esperienza della Spagna in fatto di rivolte militari e tentati colpi di Stato. Ma in Catalogna non c’è stata un’insurrezione armata. Molte promesse d’indipendenza dei leader nazionalisti non sarebbero mai state attuate, erano uno stratagemma per negoziare. Anche l’Europa dovrebbe avere qualcosa da dire al riguardo».
Che cosa potrebbe o dovrebbe dire l’Ue?
«Per esempio potrebbe convincere le parti