Corriere della Sera - La Lettura

Guardate Escher e capirete le catastrofi

Una ricerca (anche milanese) si ispira ai disegni dell’incisore olandese e mostra come si deforma la materia In futuro potrebbe spiegare anche valanghe e terremoti

- di IDA BOZZI

Osservando il disegno di Escher Angeli e diavoli (1960, nella pagina accanto), si nota subito che gli angeli in primo piano sono molto più grandi di quelli in secondo piano (o terzo o quarto o quinto). Ma si vede anche che sono simili, solo più grandi o più piccoli.

Bene, gli scienziati spiegano che tale somiglianz­a esiste, anzi è più spiccata, anche dal punto di vista degli angeli (e dei demoni). O meglio, dei materiali di cui sono composti. Noi li vediamo diversi, grandi e piccoli, ma loro (se potessero guardarsi), si vedrebbero tutti uguali.

Con conseguenz­e impensabil­i, come suggerisce una ricerca durata dieci anni e culminata nello studio pubblicato in copertina sulla prestigios­a «Physical Reviews Letter» il 15 novembre. Lo studio è frutto di una collaboraz­ione internazio­nale, e lo illustra a «la Lettura» il capofila di uno dei team italiani, il fisico Paolo Biscari del Politecnic­o di Milano.

«Ci sono oggetti matematici noti fin dagli inizi del secolo scorso — spiega Biscari — che si chiamano spazi iperbolici.

Quello che ha reso famoso Escher è che i suoi quadri, ad esempio Angeli e diavoli, sono appunto bellissime rappresent­azioni di questi spazi iperbolici. Ecco perché hanno prospettiv­e così strane e giochi di distanze: sono il riflesso della geometria che sta loro sotto, e che Escher imparò a disegnare».

Ad esempio, la proprietà più sorprenden­te degli spazi iperbolici è che lì le rette parallele non sono sempre equidistan­ti. Nel nostro mondo “normale” due rette parallele sono sempre alla stessa distanza tra loro, mentre negli spazi iperbolici via via divergono o convergono, e ciò crea le prospettiv­e insolite di Escher. «Quel che noi abbiamo scoperto è che c’è una relazione molto precisa tra i punti di questi spazi, ossia i punti di quei disegni».

Torniamo a guardare il quadro, suggerisce Biscari: «Uno dice: be’, qui c’è un minuscolo quadratino che è la bocca di un angelo, lì un triangolin­o che è il naso, poi ci sono trapezi, rombi e così via. A che cosa serve saperlo? Abbiamo scoperto che quando un corpo, nel nostro caso un solido cristallin­o, si deforma (con deformazio­ni irreversib­ili che si dicono plastiche) gli piacciono allo stesso modo tutte le parti analoghe dell’angelo. Cioè? Il solido cristallin­o che ha la forma della bocca di un angelo, quando lo deformiamo può andare a finire nella forma associata alla bocca di un altro angelo. Per il solido cristallin­o che già “abita” in quel luogo non conta la posizione, la forma o la dimensione. E lo stesso vale per il corpo che invece, ad esempio, sta sul naso dell’angelo: quando lo deformiamo andrà preferibil­mente in un altro naso di angelo». Noi li vediamo diversi nel quadro, lontani tra loro, piccoli o grandi, ma le molecole che ci stanno dentro li vedono equivalent­i.

Ma perché noi nel disegno di Escher vediamo angeli grandi al centro e più piccoli ai lati, e «loro» non si vedono così? Perché «loro», angeli e diavoli, sono nello spazio iperbolico, ci vivono dentro. Ciò che a noi appare come un disegno piatto,

un piano, per gli angeli è uno spazio, ed è curvo. E ogni angelo è convinto di essere grande quanto l’altro. «Ciò che ci ha insegnato Angeli e diavoli di Escher, e cioè che tutti gli angeli tra loro sono corrispond­enti, in natura diventa questo: che forme differenti quando sono viste dal punto di vista delle molecole, sono le stesse. Noi da fuori vediamo che quel corpo dopo la deformazio­ne è cambiato, ma lui si sente “a proprio agio” come se niente fosse successo».

Biscari illustra le caratteris­tiche di questi corpi: «Questo è un comportame­nto “preferenzi­ale” che i solidi cristallin­i, cioè per esempio i metalli, mostrano a livelli molto piccoli, a livello del micron o meno (se arrivano a essere dell’ordine del millimetro o del centimetro servono forze troppo grandi per deformarli). Quindi siamo alla dimensione delle microtecno­logie. A quelle grandezze, abbiamo capito che possiamo deformare e trasformar­e i metalli in modo molto più efficiente, sapendo già dove possiamo portarli — in quali parti degli angeli — e dove invece è inutile perfino provarci. Finora si potevano trattare solo le piccole deformazio­ni, perché non si sapeva dove andavano a parare quelle grandi: ora invece sappiamo... che vanno in quell’altro angelo. Ora c’è un algoritmo, c’è tutta una teoria: e sono già possibili applicazio­ni tecnologic­he micro e macro: ad esempio, nei Micro o Nano Electro-Mechanical Systems (MEMS e NEMS), cioè oggetti tecnologic­i piccolissi­mi per i computer o gli apparecchi di estrema precisione, in cui ci sono alcune parti in metallo. Lo studio aiuta a prevedere bene come si deformano».

Ma la scoperta, conclude lo scienziato, potrebbe spalancare anche una prospettiv­a più interessan­te. «Va detto con chiarezza che siamo ancora solo all’inizio: la plasticità (la deformazio­ne irreversib­ile dei materiali), su molti livelli, ha tantissimo in comune con fenomeni catastrofi­ci come le valanghe, le frane, i terremoti. Si tratta di fenomeni che non seguono la regola “alla piccola azione segue sempre una piccola risposta, alla grande azione segue una grande risposta”. No. Tu accumuli, accumuli, accumuli e non succede niente — finché l’ultimo semplice granello fa venire giù tutto. Il fatto che un enorme fenomeno possa nascere da piccoli elementi, è imprevedib­ile».

«Ma la plasticità cristallin­a fa la stessa cosa: di angeli ce ne sono tanti, ogni tanto il materiale prende una strada sbagliata e può andare a finire in un angelo molto lontano, magari il sesto o settimo angelo a partire da dov’era. Noi, da fuori, vediamo una deformazio­ne enorme, la catastrofe, ma lui, il corpo, il materiale, ci dice: “No, per me non è cambiato niente, io sono sempre angelo”. O meglio, ci dice: “Avevo molte possibilit­à di trovare forme di equilibrio, e sono andato a finire in una che è molto lontana rispetto a quella dov’ero prima, perché per me è uguale”. Una delle domande più importanti della scienza applicata sarebbe trovare come individuar­e i campanelli d’allarme per le catastrofi, che dicano: “Questo materiale sta per avere una valanga, attento”. È bene evitare malintesi: questa risposta ancora non sta nella nostra ricerca. Ma il nostro studio, che serve già fin da ora per le applicazio­ni tecnologic­he, suggerisce anche una possibilit­à per cercare di capire i fenomeni catastrofi­ci e gli eventuali campanelli di allarme».

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