Corriere della Sera - La Lettura
Bombe sull’asteroide (a caccia di vita)
Nei prossimi giorni si riaccenderanno i motori di Hayabusa 2: la sonda giapponese porterà per la prima volta sulla Terra (tra un anno) i campioni strappati «bombardando» le viscere di un asteroide, Ryugu, un corpo celeste che racchiude in sé i materiali del Sistema solare in formazione. La speranza è che i frammenti rivelino tracce di aminoacidi e sostanze pre-biotiche
Per molti di noi, grandi o bambini, un asteroide è quel piccolo mondo descritto ne Il Piccolo Principe, un mondo incantato dove possono crescere rose e alberi, abitato da un favoloso principino. Oggi la planetologia ci sta rivelando mondi molto diversi: agglomerati nerastri di materiali come la grafite o montagne di rocce metalliche, o ancora cumuli di rocce, sabbie e ghiacci mescolati tra loro, senza una struttura solida. Intorno al 10 dicembre 2019 la sonda giapponese Hayabusa 2 («Falco pellegrino») accenderà i s uoi motori i oni c i per a bbandonare l’asteroide Ryugu, che ha esplorato per 18 mesi dopo un viaggio interplanetario durato tre anni e mezzo, e farà ritorno sulla Terra. Per la prima volta nella storia, una sonda sta riportando sul nostro pianeta un campione di materiale raccolto dall’interno di un asteroide.
La storia di questi oggetti inizia con quella della Terra, 4,6 miliardi di anni fa, quando il Sole nascente, avvolto in un disco di gas e polveri interstellari, stava accendendo al suo interno la fusione nucleare. In quell’epoca cosmica, i grani di polvere in moto turbolento si sono raggruppati per adesione, formando corpi grandi fino a un chilometro, i planetesimi. Le collisioni tra planetesimi hanno costruito poi oggetti sempre più grandi, i protopianeti, che frenati dalla polvere e dal gas del disco si sono mossi in un’orbita a spirale cadendo verso il Sole. La storia del Siste
ma solare ci narra di un inizio catastrofico, in cui enormi collisioni hanno fuso le rocce e riscaldato a centinaia di gradi centigradi la superficie dei futuri pianeti.
In questa giostra dei protopianeti intorno al Sole, fatta di collisioni, rimbalzi e «giri di boa» di Giove e Saturno verso l’esterno, alcuni planetesimi sono sopravvissuti. Oggi sono diventati asteroidi o comete, frammenti di protopianeti più grandi o residui intatti del Sistema solare primitivo. Gli asteroidi ricchi di carbonio come Ryugu sono i più interessanti da studiare. Le meteoriti dello stesso tipo (condriti carbonacee) arrivate sulla Terra contengono minerali che sono sempre rimasti a basse temperature, conservando intatte le molecole organiche in esse contenute.
In queste meteoriti, analizzate in laboratorio, sono stati trovati amminoacidi, basi azotate e lipidi, sostanze che sono alla base della vita terrestre. Si aggiunga che Ryugu è un oggetto la cui orbita incrocia quella della Terra, e i suoi 870 metri di roccia potrebbero creare una catastrofe collidendo in futuro con il nostro pianeta. Due buone ragioni per studiare la sua composizione in loco e nei nostri laboratori terrestri. La sua massa è così piccola che la forza di gravità è praticamente inesistente; un sasso spostato dalla sua superficie può librarsi nello spazio per circa un’ora prima di ricadere giù. Anche atterrare o muoversi su di esso può essere un grosso problema: la sonda Hayabusa 2, con una massa di 490 chilogrammi, sull’asteroide «pesa» appena 36 grammi, e ogni movimento verso l’alto di un qualunque veicolo di esplorazione potrebbe farlo sfuggire nello spazio o farlo rimbalzare lontano. Così è stato per la sonda Philae, atterrata sulla cometa Churyumov–Gerasimenko, ma rimbalzata malamente finendo su un fianco, in un crepaccio del piccolo corpo celeste.
Su Ryugu invece sono stati lanciati verso la superficie tre piccoli rover cilindrici con massa di un chilogrammo, i Minerva, con al loro interno una massa rotante fuori asse che li fa letteralmente saltellare, in un volo di quindici minuti prima di adagiarsi sulla superficie 15 metri più in là. Oltre ad essi, è stato lanciato il lander Mascot per l’analisi dei materiali dell’asteroide. Alla fine sono stati fatti due esperimenti mai tentati finora: Hayabusa 2 ha toccato il suolo e ha sparato a 300 metri al secondo un proiettile di tantalio di 5 grammi; poi, con uno strumento di raccolta, ha caricato il materiale frantumato e rimbalzato verso l’esterno. Circa un mese e mezzo dopo, ha lasciato una «pistola» e una fotocamera fluttuanti a 500 metri di quota, ed è andata a ripararsi dall’altro lato dell’asteroide. La «pistola» ha sparato un proiettile di rame da 2,5 chilogrammi caricato con esplosivo, che ha scavato un cratere di 10 metri di diametro. Dopo 40 minuti, il tempo sufficiente per i frammenti espulsi nello spazio per ricadere al suolo, Hayabusa 2 è tornata sul luogo e si è avvicinata al cratere, identificato dalla fotocamera, raccogliendo dei campioni di materiali provenienti dal sottosuolo dell’asteroide. Saranno preziosissimi per studiare in laboratorio questi antichi corpi del sistema solare, rimasti probabilmente quasi invariati dalla loro nascita.
La struttura di Ryugu è fatta di grandi massi e piccoli frammenti accatastati, come in un mucchio di ghiaia, legati solo dalla loro debole forza di gravità; non si tratta di un corpo compatto e un impatto violento sulla sua superficie potrebbe generare uno sciame di frammenti in moto nella stessa orbita. Cosa si trova pochi centimetri sotto la sua superficie? Amminoacidi, molecole pre-biotiche simili a quelle che hanno generato la vita sulla Terra e presenti nelle meteoriti dello stesso tipo di Ryugu? Il viaggio del «falco pellegrino» verso la Terra durerà quasi un anno; alla fine del 2020, dopo aver percorso una distanza di più di 250 milioni di chilometri, la sonda rilascerà una capsula che attraverserà la nostra atmosfera e, aprendo un paracadute alla quota di 10 chilometri, depositerà il suo carico di materiale alieno. Ci saranno le risposte a tanti interrogativi sull’origine della vita terrestre?