Corriere della Sera - La Lettura
Il castoro miagola allo squittio del gallo
Autoantologie Alberto Casiraghy ha selezionato e raccolto la sua produzione in versi dal 1978. La vocazione poliedrica — è artista, violinista, tipografo ed editore — si riverbera in una visione panteistica e onirica della natura
Il gusto per l’espressione inconsueta, sonante, ossimorica, voluttuosa, quasi sempre onirica, rivela una predisposizione, vale a dire un’innata capacità di saper intuire la sublime bellezza della Natura, contemplandola nella gioia, avendo scelto di vivere in penombra con leggerezza.
Si riscontra l’osservazione della fila di formiche in viaggio sul bordo di un vaso di miele, mentre rane attendono immobili nell’acqua, farfalle proteggono elefanti, un cane va in amore, e tutto comunque procede senza che il peggio sia accaduto. Oppure si può immaginare una propria rinascita in svariate forme: la foglia, il re o il ranuncolo, intanto che il topo emette un barrito, il castoro appollaiato miagola, il gallo squittisce, le ciliegie sono distratte, la farfalla ruggisce e due gnomi sorvegliano grilli catturati dalla follia.
Con semplicità disarmante e fiabesca Alberto Casiraghy (la y non è un vezzo, l’autore l’ha scelta per evitare omonimie) si muove nell’ostinata esplorazione del mondo, utilizzando il fascinoso linguaggio infantile dello stupore nella raccolta poetica I segreti del fuoco pubblicata da Book.
Nato nel 1952 a Osnago (Lecco), uomo dai poliedrici interessi, artista visivo, violinista, autore di aforismi, conosciuto e apprezzato come tipografo ed editore, artefice delle raffinate edizioni pulcinoelefante, i suoi «librini» realizzati esclusivamente a caratteri mobili su pregiatissima carta Hahnemühle, ora in un’autoantologia Casiraghy raccoglie i propri versi più significativi, a partire dal 1978.
Nell’accumulo delle conoscenze esistenziali si mantengono costanti l’essenzialità del dettato rapido, illuminante e frammentario, la sensuale eccitazione, l’andamento allusivo, la diafanità metaforica, la fertile contemplazione, una suggestiva ascesi pregna però di saggia ironia. L’autore si apposta, scruta e intravede nella pacificazione interiore una forza risanatrice, rimanendo ininterrottamente a contatto con la Natura, pur in un simbolico percorso a ritroso. Si legga la poesia La notte mi consiglia...: «La notte mi consiglia nuovi sogni./ Non mi sento condizionato/ dall’immobilità in cui mi trovo./ Il cammino è già in atto./ …/ Ora il topo cerca il gatto/ l’ingranaggio macina l’acqua/ il filo gli cuce la mano/ la mucca ribeve il suo latte/ il sasso riprende la somma/ mi sorprende il seme/ del melograno/ l’occhio del serpente/ mi manda alla sorgente./ Il pesce pensa alla terra/ la mia rotta è quella degli uccelli,/ ho ritrovato gli eventi possibili».
Il radicale rovesciamento eversivo delle situazioni e dei destini prefigurati risulta attuato con lucidità fantastica. Casiraghy non è un profeta né un visionario, anche se ammette di poter vedere senza pupille, semmai un essere umano che pone domande e si nutre di dubbi. Sotteso resta lo scontro fra gli opposti, il bene e il male liricamente trasfigurati, i due vasti territori nei quali si dilata e sconfina l’antinomia dell’innocenza, stagione simbolo di verginità, contro l’esperienza dell’età adulta. Ma il contrasto pare annullarsi a ogni momento nel contenere racchiusa in sé una plausibile serenità edenica. Il poeta vaga nella notte aspettando nuovi segni che possano indicare quanti giorni gli restano da vivere. Interroga costantemente la morte, accorgendosi che la fantasia giunge in suo soccorso e non lo abbandona mai, soprattutto quando sogna. Da idrofobo, nutre di saliva il proprio corpo, grugnisce disperatamente come un maiale che percepisce nell’aria la fine, seduto sotto un albero riflette sul viaggio compiuto dalle radici. Dinanzi a Thanatos si schiera la bramosia di Eros.
Così Casiraghy confessa di sentire i polsi che tremano di passione, percepisce il grande afflusso di energie in tutto il corpo. Un fuoco inestinguibile, che non scotta, semmai consuma. Ammette che sarebbe un piacere sciogliersi come un esausto ghiacciaio e divenire pozzanghera pullulante di vita. Fino a giungere alla profondità della sepoltura, con il viso già trasformato in corteccia visto che avverte coleotteri annidarsi nella sua carne. In ogni caso la pietra, che lo ricopre, è leggera.
Là sotto non c’è sensazione di peso. Esiste un sepolcro, almeno in sogno, dove non si muore mai.
a mia macchina sta pulsando contro la tua. Solo la pelle trattiene il dolce contatto.
Il battito all’unisono ci consente l’evidenza della gioia.
Quante emozioni ricevono queste carni in questi pochi lunghi attimi. Non riesco a capovolgere i miei pensieri. Sono sorpreso dai sentimenti. Sono seduto sotto un albero e penso al viaggio delle sue radici. I testi di Alberto Casiraghy (Osnago, Lecco, 1952: foto Raso/LaPresse) sono tratti dalla raccolta
edita da Book I segreti del fuoco
seminare ad erba non è possibile cogliere sempre il grano. Mi meraviglia il colore della tua terra.
Piace a tutti che ti sia vestita di verde anche al vento che ti accarezza i seni.