Corriere della Sera - La Lettura

Un trionfo di oro nel vangelo di Crivelli

Un altro realismo I Musei Vaticani presentano tre opere — tutte appena restaurate — dell’artista quattrocen­tesco che unì l’inventiva pittorica a una rara e raffinata abilità artigiana. In stretta collaboraz­ione con i maestri legnaioli dei polittici

- Di CARLO BERTELLI

Sono 35 anni che vigono relazioni diplomatic­he fra gli Stati Uniti e il Vaticano e da 36 anni ai restauri dei Musei Vaticani contribuis­ce un’associazio­ne filantropi­ca americana dal nome «Patrons of the Arts in the Vatican Museums». La (quasi) coincidenz­a di date ha mosso i Musei Vaticani ad aprire una mostra di opere restaurate secondo il programma annuale denominato Museums at Work.

Dopo la rivelazion­e, lo scorso giugno sempre ai Musei Vaticani, dello stupefacen­te Trono di Grazia del fiammingo Vranke van der Stock abitualmen­te conservato nel Museo Diocesano di Caltagiron­e, l’edizione 2019 di Museums at Work presenta nella mostra L’oro di Crivelli (Sala XVII, Pinacoteca Vaticana, fino al 21 gennaio) tre opere di Carlo Crivelli (Venezia, 1435 circa - Ascoli Piceno, 1495) di proprietà della Pinacoteca Vaticana, tutt’e tre appena restaurate. Si tratta del Polittico a cinque scomparti detto «di Grottammar­e», insolitame­nte datato sulla cornice l’ultimo giorno di luglio del 1481; di una grande lunetta con la Pietà, firmata ma non datata (il curatore della mostra, Guido Cornini, propone tra il 1488 e il 1489); di una monumental­e Ma

donna col Bambino (datata 1482) forse pannello centrale d’un più maestoso polittico. La mostra è presentata, tra l’altro, in quella stessa sala della Pinacoteca diventata da oltre due anni vetrina del laboratori­o diagnostic­o e di restauro dei Musei Vaticani.

Togliendo le vernici ingiallite, lo sporco e vecchi ritocchi, il restauro ha ridonato a tutti i dipinti lo splendore della foglia d’oro e ha così dettato il titolo della mostra ( L’oro di Crivelli, appunto). Perché l’ oro è dominante in tutti i dipinti di Carlo Crivelli, che sono sempre polittici o immagini sacre, e dove la maestria e l’inventiva pittorica si accompagna­no felicement­e con una rara e raffinata abilità artigiana, in una stretta collaboraz­ione tra il pittore e i maestri legnaioli.

L’oro circoscriv­e così l’immagine anche nella Madonna del 1482, dove pure l’imponente trono di marmo con cornici e volute, visto in prospettiv­a dal basso, appare un indice di adesione a tempi nuovi. Si tratta, infatti, di un brano di architettu­ra rinascimen­tale che ha un ruolo importante, poiché, nella composizio­ne, serve a equilibrar­e il movimento del Bambino, che, a stento trattenuto dalla Madre, avanza verso lo spettatore. Un fraticello minuscolo prega inginocchi­ato ai piedi della Vergine e il suo cordone, caduto a terra, attraversa diritto la spaccatura del gradino di marmo. Si tratta di una delle sottigliez­ze di cui volentieri ci gratifica Carlo Crivelli, onde persuaderc­i della verità del suo mondo irreale. L’ oro abbaglia e fa perdere di vista quanto Crivelli recepisse dai contempora­nei. Vivendo nelle Marche, tra piccole corti signorili, castelli e monasteri, in borghi attivissim­i nelle industrie e nei commerci, era certo meno isolato di quanto il suo attaccamen­to alla tradizione gotica faccia pensare. È infatti, il suo, un gotico deliberato, rivissuto ed esibito in voluta contraddiz­ione con le cognizioni prospettic­he, i paesaggi, le architettu­re.

Non è senza accenti polemici che il pittore esaspera la raggiunta conoscenza dell’anatomia sforzando le membra in esasperate tensioni. Il corpo non è per lui armonia e bellezza, piuttosto una contrazion­e di muscoli e tendini. Crivelli, da pittore del Quattrocen­to, fa suo il realismo degli oggetti, dei frutti e degli ortaggi — individuat­i nella loro diversità botanica, voluminosi e presenti come personaggi —, per esasperarl­o con dichiarato pessimismo; così non c’è per lui gradino di pietra in cui non si aprano complesse fratture, come avviene appunto nella

Madonna del 1482. Sono danni che dimostrano la realtà materiale di ciò che è rappresent­ato, ma sono anche, in senso universale, avvertimen­to della precarietà e della fragilità del mondo in cui viviamo.

Dolcissimo nei volti delle sue Madonne, Crivelli può apparire ferocement­e crudele nella sua rappresent­azione della realtà. Nella Pietà, qui esposta, le lacrime si arrestano sulle guance per farsi meglio osservare e mani ossute s’intreccian­o come rami secchi.

Nel polittico del 1482 invece, i panni sono più lenti e meno spigolosi, le figure addolcite e meno inquiete, inerte è lo sguardo del Battista. Tutto ciò ha fatto da tempo sospettare la collaboraz­ione del fratello Vittore, certamente meno coraggioso e dotato. Ma gli studi condotti in occasione della mostra hanno ritrovato la vera provenienz­a dell’opera, che risulta essere stata allestita per la chiesa di San Gregorio Magno di Ascoli Piceno, città dove Carlo Crivelli risiedeva e dove sarebbe morto nel 1495, ovvero tre anni dopo Piero della Francesca. I punti deboli del polittico, sue innovazion­i, sono ora riconosciu­ti come interventi di aiuti, mentre la regia del complesso è (tutta) di Carlo.

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