Corriere della Sera - La Lettura
«Anche i fischi alla Scala insegnano a fare musica»
Il direttore parla delle sue orchestre e dei maestri
«Quando diressi la Boston Symphony alla Carnegie Hall, quasi quarant’anni fa, ricordo che si sentiva il rumore della metropolitana, che passava lì sotto». Classe 1935, Ozawa Seiji è il primo grande direttore d’orchestra asiatico (Deutsche Grammophon ha appena pubblicato un box di 50 cd con tutte le sue registrazioni). È cresciuto sotto l’ala di Herbert von Karajan e Leonard Bernstein. Due giganti: «Li osservavo, non mi è mai venuto in testa di imitarli». Una carriera segnata da tre luoghi: Toronto, San Francisco e, dal 1973 al 2002, Boston. La sua scoperta dell’America quando non aveva compiuto 30 anni.
L’eroe dei due mondi, cresciuto con padre buddhista e madre cristiana.
«La musica occidentale interpretata da un orientale può avere una dimensione originale».
Lei è stato assistente di Leonard Bernstein.
«Sì, alla New York Philharmonic. Fu anche un grande insegnante ma non aveva idea di cosa significhi insegnare a un’orchestra. Non si vedeva come il capo. Il colloquio con me si svolse in un bar un po’ equivoco, dove mi fu chiesto di suonare il pianoforte. A noi assistenti (ne aveva tre, con ingaggio annuale) raccomandava di suggerirgli ciò che non funzionava, aveva un desiderio di egualitarismo che appartiene alla cultura democratica americana. Il fatto è che all’epoca il mio inglese era tremendo e Bernstein parlava molto durante le prove, cosa che non piaceva all’orchestra. Io non capivo praticamente nulla di ciò che veniva detto».
Mahler ha un significato speciale per lei.
«Mi sono avvicinato alla sua musica grazie a Bernstein, l’unico, dopo Bruno Walter, a dirigere le sue Sinfonie. Mahler voleva distruggere una forma definita, la sua musica è piena di elementi diversi che non vuole assemblare, a volte li lascia in conflitto fra loro: con lui è un viaggio nell’inconscio, nella profondità dell’animo umano. C’è qualcosa di freudiano…». Lei era una sorta di figlio per Karajan.
«Mi diceva che l’opera e il repertorio sinfonico sono due ruote dello stesso carro. Così mi avvicinai alla lirica. Nel 1980 debuttai alla Scala: Tosca con Pavarotti. Fischi, buu. Un disastro. Non era quello che si aspettavano». E lavorò con il pianista Arthur Rubinstein...
«Ricordo un concerto alla Scala. Era fissato con la cucina, a Milano frequentava un ristorante dove c’era un menù per lui. Decideva per i suoi ospiti». È vero che un giorno ha rubato una bacchetta?
«Eugene Ormandy a Filadelfia ne aveva tante, flessibili, sembravano la punta di una canna da pesca. Ho pensato che non se ne sarebbe accorto e ne presi una. Se non che, aveva una segretaria terribile che metteva in soggezione e usava contarle. Ne ha presa una?, mi domandò a bruciapelo».