Corriere della Sera - La Lettura
Le note e le notti (un po’ folli) di Ozawa
Ritratti Una serie di cd e un libro di conversazioni con Murakami Haruki permettono di accostarsi a un artista che ha portato l’Oriente nel repertorio dell’Occidente
Ci piace l’idea romantica di aprire un libro che parla di musica e vederne metaforicamente uscire delle note. Sfogliando con una certa avidità Assolutamente musica, il nuovo libro di Murakami Haruki — firmato a quattro mani con Ozawa Seiji, il più enigmatico tra i direttori d’orchestra — la musica davvero sembra zampillare fuori dalle pagine, tanto è densa la scrittura, tanto è coinvolgente la passione dei due autori. Uno scrittore (1949) e un direttore d’orchestra (1935). Due pensieri diversi e un amore c o mun e , c h e d i ve n t a i l c o l l a n t e d i un’amicizia profonda: la musica.
«Quando ci siamo conosciuti — ricorda Murakami — il nostro era un rapporto molto disteso e cordiale, che non aveva nulla a che vedere con i nostri rispettivi lavori». Solo nel corso di una convalescenza del maestro dopo un’operazione chirurgica del 2009, i due hanno cominciato a parlare (anche) di musica. «Ozawa era debilitato — spiega Murakami — ma appena toccavamo l’argomento musica sembrava ritrovare le forze». E qui torna in mente il mantra di Claudio Abbado dopo l’operazione del 2000 che gli salvò la vita: «La musica è la mia medicina».
Il volume è composto da sei conversazioni e quattro interludi. Ci sono molti riferimenti alle possibili analogie fra scrittura e musica nel corso della loro conversazione. I due si soffermano sul concetto di interpretazione («negli anni Sessanta nessuno sapeva come si dovesse suonare la musica barocca») e sui musicisti, tanti. Si racconta di quando per esempio Herbert von Karajan passò di punto in bianco la bacchetta a Ozawa per fargli dirigere l’Ottava di Gustav Mahler con i Berliner Philharmoniker. «Ho obbedito». Proprio quella su Mahler è la conversazione più ampia e interessante.
«E poi c’è stato anche Karl Böhm (...). L’ho sentito una volta nell’Elettra di Richard Strauss, a Salisburgo. Mi era sembrato che... come dire ? Che dirigesse solo con piccoli movimenti delle mani. Eppure l’orchestra produceva un suono talmente ampio ( allarga le braccia)... era come una magia. Sono sicuro che c’era qualcosa di speciale, un legame storico tra lui e quell’orchestra (la Filarmonica di Vienna, ndr) ».
Il direttore confessa inoltre una passione (inaspettata) per il jazz e per il blues. «Al Ravinia Festival di Chicago, andavo ad ascoltare musica blues tre o quattro volte alla settimana. In realtà avrei dovuto studiare i miei spartiti, andare a letto presto e alzarmi all’alba, ma avevo voglia di ascoltare del blues. (...) Al festival abbiamo invitato Louis Armstrong e Ella Fitzgerald. Sono stato io a insistere perché adoravo Satchmo. Era la prima volta che dei musicisti di jazz comparivano su quel palco». E poi ancora: «A New York, quando ero assistente alla New York Philharmonic, c’era un violinista nero (...). Mi ha portato un sacco di volte in un jazz club di Harlem. Era un posto dove potevano entrare solo i neri. La segretaria di Leonard Bernstein, Helen Coates, che si comportava come fosse la mia mamma americana, mi diceva sempre: “Seiji, non ci devi andare, è pericoloso”».
Ozawa elogia poi Glenn Gould: «La vera cosa straordinaria» è che la sua interpretazione è molto lontana dallo spartito originale (si sta parlando del Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 di Beethoven diretto da Leonard Bernstein nel 1959 con la Columbia Symphony Orchestra). Murakami parla poi dell’invito che il direttore ricevette a casa del pianista, e scrive: «Alcuni degli aneddoti che Ozawa mi ha raccontato purtroppo non sono pubblicabili». Purtroppo.