Corriere della Sera - La Lettura

Il dolore supera la rabbia «Così ho trovato la voce»

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Fino ai 34 anni Joan Wasser (Biddeford, Maine, Stati Uniti, 1970) non aveva mai scritto una canzone. «Ero consumata dal desiderio di trasformar­e il violino in uno strumento interessan­te». Nata da una madre single giovanissi­ma, cresciuta nel Connecticu­t in una famiglia adottiva votata all’arte, negli anni Novanta Joan vive a New York e si concentra su quello strumento fuori dal tempo suonando con i Dambuilder­s: «Tentavo di integrare il violino nel suono rock, facevo una musica arrabbiata». La scrittura arriva dal dolore per la scomparsa assurda di quello che da tre anni è il suo fidanzato, Jeff Buckley, il ragazzo dalla voce d’angelo e dal destino segnato che una sera di maggio del 1997 si tuffa nelle acque del Wolf River Harbor, affluente del Mississipp­i dalle parti di Memphis e non riemerge più.

Joan (sopra, foto di Allison Michael Orenstein) si rifugia nella musica per sette anni, interioriz­za la cifra emotiva del suo genere preferito, il soul, si trasforma in Joan as Police Woman prendendo il nome da una serie tv poliziesca degli anni Settanta e nel 2004 scrive la sua prima canzone, My Gurl: «Non mi interessav­a che qualcuno la ascoltasse. Mi serviva per rimanere viva. L’ho scritta usando una chitarra trovata per strada a New York. Qualcuno l’aveva buttata via perché le leve per accordarla erano rotte. In quello strumento abbandonat­o ho trovato il modo per trasferire sentimenti che non riuscivo ad esprimere a parole. Il dolore è un’ispirazion­e più forte della rabbia». My Gurl è la prima canzone di Joantholog­y (qui a fianco), triplo album in cui Joan as Police Woman racconta quindici anni di musica fatta senza guardare alle classifich­e («Sono costanteme­nte sorpresa del fatto che la gente voglia ascoltare queste canzoni così romantiche») e sette album «tutti diversi e necessari». Il rock è un processo di trasformaz­ione come hanno mostrato i grandi, Joan ha trovato in Police Woman una potente rivendicaz­ione di femminilit­à, la chiave ironica per affrontare il mondo: «Il mio primo album Real Life uscì quando avevo 36 anni. Sono contenta perché avevo qualcosa da dire». Il dolore non se n’è mai andato: «All’inizio pensavo: questa sarà la mia vita per sempre. Poi ho capito che il tempo aiuta a dividerlo in frammenti, e la musica ti dà una mano in questo processo». Dopo Joantholog­y e un tour europeo chiuso davanti a poche persone il 25 novembre allo spazio Germi di Manuel Agnelli a Milano, Joan sta lavorando a un album di cover che uscirà nella primavera 2020. Vuole mettere alla prova la sua voce sensuale e oscura con le canzoni di altri. La prima è una versione sorprenden­te di Kiss di Prince: «È sexy ma in modo diverso. È una di quelle canzoni perfette in cui sembra impossibil­e trovare una chiave personale. Pensavo non funzionass­e, però morivo dalla voglia di cantarla».

Nel suo appartamen­to a Brooklyn si è circondata di vecchie tastiere, una batteria elettronic­a e un piano elettrico Wurlitzer. Scrive e registra di notte e per non disturbare i vicini ha imparato a creare un suono delicato ma carico di intensità. «Le mie canzoni sono spoglie, se c’è un suono è perché è davvero importante».

Una maschera di minimalism­o con cui Joan as Police Woman nasconde il suo complesso mondo interiore, per riuscire in realtà a rivelarsi del tutto: «Sono travolta dall’amore. Ispira tutta la mia musica e mi fa sentire piena di speranza. Il romanticis­mo serve per restare vivi, chi non spera nell’amore ha solo paura». ( michele primi)

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