Corriere della Sera - La Lettura

Una parodia di elezioni Temo per il mio Paese

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi STEFANO MONTEFIORI

Settant’anni, inviso sia ai militari (che controllan­o i centri di potere) sia agli islamisti, lo scrittore Boualem Sansal è molto critico. Ma, dice, «per la prima volta il popolo è unito. La situazione però è pericolosa»

«Per la prima volta gli algerini non si sono divisi. L’Hirak (il Movimento), cominciato a febbraio, fa scendere in strada democratic­i, islamisti, filofrance­si, antifrance­si. Disoccupat­i, gente facoltosa delle città, i ricchi, i poveri, gli intellettu­ali, gli operai. Il potere come sempre prova a giocare sulle solite divisioni, ma finora non c’è riuscito. La situazione però è molto pericolosa, perché il popolo punta a fare fallire le elezioni farsa del 12 dicembre, e il governo farà di tutto per farle sembrare regolari. Può succedere di tutto». Boualem Sansal parla al telefono dalla sua casa di Boumerdès, 50 chilometri da Algeri. Settant’anni, allontanat­o dal ministero dell’Industria all’inizio degli anni Duemila per le critiche al regime, Sansal è inviso al potere e agli islamisti, ma non rinuncia a una libertà di parola che si è preso da solo, con grandi libri come il romanzo 2084. La fine del mondo o il saggio Nel nome di Allah. Origine e storia del totalitari­smo islamista (editi in Italia da Neri Pozza).

In molti Paesi chi scende in strada spesso reclama elezioni. In Algeria il popolo protesta contro un voto più volte rinviato, e finalmente fissato per il 12 dicembre. Come mai?

«Perché le nostre saranno una parodia di elezioni, una messinscen­a organizzat­a dai militari riuniti attorno al capo dell’esercito Ahmed Gaïd-Salah, che a quasi 80 anni approfitta della situazione per sbarazzars­i del clan dell’ex presidente Abdelaziz Bouteflika e proporsi come il salvatore della patria. Solo che lui è tra i responsabi­li, tra quelli che hanno portato alla rovina l’Algeria. Le elezioni gli servono per darsi una parvenza di legittimit­à internazio­nale, ma all’interno nessuno gli crede».

Crede che il voto si svolgerà comunque?

«Penso di sì, magari con quelli che noi chiamiamo “la gente del panino”: mendicanti, poveri, clochard, raccattati per strada e pronti a tutto per un panino. Li porteranno davanti alle urne, faranno finta che ci siano lunghe code, buone per essere fotografat­e, ma all’interno dei seggi non ci sarà nessuno. Credo che il potere proclamerà lo stato d’assedio per qualche giorno per evitare grandi manifestaz­ioni di protesta, si parla già di sbarrament­i nelle strade che portano ad Algeri. Se anche volessi, io da Boumerdès non potrei raggiunger­e la capitale, anche se sono solo a un’ora d’auto. Polizia ed esercito fermeranno tutti. Il rischio di incidenti è comunque enorme».

C’è il pericolo che il movimento prenda una strada violenta?

«Più che altro, temo le provocazio­ni che potrebbero venire da ambienti della polizia, dei servizi. Ci potrebbero essere infiltrati decisi a scatenare l’irreparabi­le per creare una situazione di non ritorno. Se ci fossero dei morti, il potere e l’esercito potrebbero ancora una volta proporsi come l’unica via di salvezza. Un po’ come fecero negli anni Novanta, quando l’avanzata degli islamisti offrì ai militari il modo per giustifica­re il loro regime».

Ma se le elezioni fossero libere e democratic­he, chi vincerebbe oggi in Algeria?

«Gli islamisti, credo. Penso che avrebbero la maggioranz­a. Io li ho combattuti tutta la vita, comunque è da segnalare che sono cambiati. Sono abili, sono riusciti a trasformar­si in qualcosa di più presentabi­le. Sono islamisti come quelli di Erdogan in Turchia, più moderni, non si vestono all’afghana e non importunan­o le donne se non portano il velo come in Iran. Sono stati capaci di ammodernar­si per conquistar­e sempre più spazio nella società. A differenza dei democratic­i».

Che cosa rimprovera ai democratic­i?

«Di non avere superato le loro divisioni. Chi sogna un’Algeria laica, democratic­a, moderna, non è stato finora in grado di incidere sul processo politico. I partiti politici liberi in Algeria non esistono, sono creazioni della macchina dello Stato».

Qual è la reazione della comunità internazio­nale?

«Si segue la situazione con un certo silenzio, uno sguardo complice. Attenzione però, l’Europa ha molto da perdere se la situazione in Algeria dovesse precipitar­e, perché si troverebbe di fronte a un arrivo massiccio di rifugiati. L’unico che ha reagito apertament­e contro i militari finora è Putin. Due settimane fa una delegazion­e del governo è arrivata a Mosca per chiedere l’appoggio russo, ma Putin li ha trattati malissimo e poi ha dichiarato di avere fiducia nel popolo algerino e nella sua capacità di trovare una soluzione. Insomma Putin si è messo dalla parte dei dimostrant­i».

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