Corriere della Sera - La Lettura
Una parodia di elezioni Temo per il mio Paese
Settant’anni, inviso sia ai militari (che controllano i centri di potere) sia agli islamisti, lo scrittore Boualem Sansal è molto critico. Ma, dice, «per la prima volta il popolo è unito. La situazione però è pericolosa»
«Per la prima volta gli algerini non si sono divisi. L’Hirak (il Movimento), cominciato a febbraio, fa scendere in strada democratici, islamisti, filofrancesi, antifrancesi. Disoccupati, gente facoltosa delle città, i ricchi, i poveri, gli intellettuali, gli operai. Il potere come sempre prova a giocare sulle solite divisioni, ma finora non c’è riuscito. La situazione però è molto pericolosa, perché il popolo punta a fare fallire le elezioni farsa del 12 dicembre, e il governo farà di tutto per farle sembrare regolari. Può succedere di tutto». Boualem Sansal parla al telefono dalla sua casa di Boumerdès, 50 chilometri da Algeri. Settant’anni, allontanato dal ministero dell’Industria all’inizio degli anni Duemila per le critiche al regime, Sansal è inviso al potere e agli islamisti, ma non rinuncia a una libertà di parola che si è preso da solo, con grandi libri come il romanzo 2084. La fine del mondo o il saggio Nel nome di Allah. Origine e storia del totalitarismo islamista (editi in Italia da Neri Pozza).
In molti Paesi chi scende in strada spesso reclama elezioni. In Algeria il popolo protesta contro un voto più volte rinviato, e finalmente fissato per il 12 dicembre. Come mai?
«Perché le nostre saranno una parodia di elezioni, una messinscena organizzata dai militari riuniti attorno al capo dell’esercito Ahmed Gaïd-Salah, che a quasi 80 anni approfitta della situazione per sbarazzarsi del clan dell’ex presidente Abdelaziz Bouteflika e proporsi come il salvatore della patria. Solo che lui è tra i responsabili, tra quelli che hanno portato alla rovina l’Algeria. Le elezioni gli servono per darsi una parvenza di legittimità internazionale, ma all’interno nessuno gli crede».
Crede che il voto si svolgerà comunque?
«Penso di sì, magari con quelli che noi chiamiamo “la gente del panino”: mendicanti, poveri, clochard, raccattati per strada e pronti a tutto per un panino. Li porteranno davanti alle urne, faranno finta che ci siano lunghe code, buone per essere fotografate, ma all’interno dei seggi non ci sarà nessuno. Credo che il potere proclamerà lo stato d’assedio per qualche giorno per evitare grandi manifestazioni di protesta, si parla già di sbarramenti nelle strade che portano ad Algeri. Se anche volessi, io da Boumerdès non potrei raggiungere la capitale, anche se sono solo a un’ora d’auto. Polizia ed esercito fermeranno tutti. Il rischio di incidenti è comunque enorme».
C’è il pericolo che il movimento prenda una strada violenta?
«Più che altro, temo le provocazioni che potrebbero venire da ambienti della polizia, dei servizi. Ci potrebbero essere infiltrati decisi a scatenare l’irreparabile per creare una situazione di non ritorno. Se ci fossero dei morti, il potere e l’esercito potrebbero ancora una volta proporsi come l’unica via di salvezza. Un po’ come fecero negli anni Novanta, quando l’avanzata degli islamisti offrì ai militari il modo per giustificare il loro regime».
Ma se le elezioni fossero libere e democratiche, chi vincerebbe oggi in Algeria?
«Gli islamisti, credo. Penso che avrebbero la maggioranza. Io li ho combattuti tutta la vita, comunque è da segnalare che sono cambiati. Sono abili, sono riusciti a trasformarsi in qualcosa di più presentabile. Sono islamisti come quelli di Erdogan in Turchia, più moderni, non si vestono all’afghana e non importunano le donne se non portano il velo come in Iran. Sono stati capaci di ammodernarsi per conquistare sempre più spazio nella società. A differenza dei democratici».
Che cosa rimprovera ai democratici?
«Di non avere superato le loro divisioni. Chi sogna un’Algeria laica, democratica, moderna, non è stato finora in grado di incidere sul processo politico. I partiti politici liberi in Algeria non esistono, sono creazioni della macchina dello Stato».
Qual è la reazione della comunità internazionale?
«Si segue la situazione con un certo silenzio, uno sguardo complice. Attenzione però, l’Europa ha molto da perdere se la situazione in Algeria dovesse precipitare, perché si troverebbe di fronte a un arrivo massiccio di rifugiati. L’unico che ha reagito apertamente contro i militari finora è Putin. Due settimane fa una delegazione del governo è arrivata a Mosca per chiedere l’appoggio russo, ma Putin li ha trattati malissimo e poi ha dichiarato di avere fiducia nel popolo algerino e nella sua capacità di trovare una soluzione. Insomma Putin si è messo dalla parte dei dimostranti».