Corriere della Sera - La Lettura

Tramonta la patria dei kibbutz e diventa la casa dei coloni

- dal nostro inviato a Tel Aviv DAVIDE FRATTINI

Il palazzotto su via Bialik, all’angolo con il traffico di Allenby, è in piedi da novant’anni e resiste da una decina. La proprietar­ia Daniella Weiss vuole venderlo e costruirci sopra 32 appartamen­ti, un parcheggio sotterrane­o, 200 metri quadri di negozi. Per ora sul marciapied­e danno solo le vetrine del caffè dove ogni sabato Amos Oz riuniva la famiglia: tutti seduti sui divani in pelle rossa con lo scrittore a far da cerimonier­e per i figli e i nipoti, a parlare di politica e vita. Discussion­i ancora più impegnate il giovane Oz le affrontava tra i tavolini del bar Tamar, a qualche passo in salita da qui. Si ritrovava qui a Tel Aviv con i giornalist­i di «Davar», il quotidiano dei sindacati e di un Israele che non c’è più: Tamar ha chiuso, caffé Bialik farà la stessa fine e le ruspe — commenta la figlia Fania — sembrano demolire anche gli ideali del romanziere scomparso il 28 dicembre di un anno fa.

«L’ironia, o il dramma, della storia è che Daniella Weiss sia una leader dei coloni, un’esponente dell’ideologia che mio padre ha sempre osteggiato». È proprio per le pagine di «Davar» che Oz viaggia nel 1982 al di qua e al di là della Linea Verde — da Gerusalemm­e agli insediamen­ti in Cisgiordan­ia — per raccontare quel che succede

In terra d’Israele (è il titolo della raccolta, pubblicata in Italia da Marietti nel 1992) e che cosa ne pensano i suoi abitanti. Che cosa pensano le tante tribù, ognuna con i suoi slogan politici, marchi di appartenen­za riprodotti sugli adesivi appiccicat­i da tutti gli israeliani ai paraurti delle auto, tanto diffusi che David Grossman ci ha composto una canzone per la band Hadag Nahash.

Amos Oz e dopo di lui Grossman, nato a 15 anni di distanza. E dopo di loro la generazion­e di scrittori come Eshkol Nevo e Assaf Gavron, che per il quotidiano «Yedioth Ahronoth» hanno rivisitato i villaggi e gli incontri percorsi da Oz 37 anni fa. Allora il premier Menachem Begin e Ariel Sharon, suo ministro della Difesa, avevano da pochi mesi ordinato l’invasione del

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