Corriere della Sera - La Lettura

E Del Noce riscrisse il fascismo

- Di ALESSANDRA TARQUINI

Novecento Trent’anni fa moriva il pensatore cattolico che comprese la modernità del regime totalitari­o. In contrasto con Norberto Bobbio ed Eugenio Garin, non considerò il movimento di Mussolini un fenomeno estraneo alla cultura, ma il frutto di un’elaborazio­ne intellettu­ale che aveva il suo faro nell’idealismo di Giovanni Gentile. Conservato­re e vicino a Cl, sostenne che la protesta del Sessantott­o avrebbe favorito l’affermazio­ne dell’individual­ismo borghese

Trent’anni fa a Roma, il 30 dicembre 1989, moriva Augusto Del Noce: uno dei più interessan­ti intellettu­ali cattolici della seconda metà del Novecento, un filosofo in grado di capire il carattere rivoluzion­ario del fascismo e di descrivere le contraddiz­ioni della cultura moderna.

Nato a Pistoia nel 1910, si laureò in Filosofia a Torino nel 1932, entrò in contatto con il mondo laico e antifascis­ta piemontese, e da allora diede vita a una riflession­e che non avrebbe abbandonat­o nel corso della sua biografia di studioso. Del Noce pensava che la natura profonda del pensiero moderno risiedesse nella volontà della ragione di negare l’esistenza di Dio. E per questo considerav­a il razionalis­mo di Cartesio il momento originario di un filone che, attraverso Marx e Nietzsche, trovava il suo esito necessario nell’ ateismo e nel nichilismo. Come scrisse nella sua opera più celebre, Il problema dell’ateismo del 1964, il marxismo, promettend­o di realizzare la felicità, e quindi sostituend­osi alla religione, costituiva il più importante orizzonte di pensiero della politica novecentes­ca, una filosofia che volle concretizz­are sé stessa immaginand­o di dare senso all’esistenza umana attraverso la rivoluzion­e. In questo quadro, già all’indomani della Seconda guerra mondiale, egli seppe analizzare il ventennio fascista come nessuno faceva a quel tempo.

A differenza di quanto sostenevan­o autorevoli intellettu­ali suoi coetanei, da Norberto Bobbio a Eugenio Garin, e dei principali sostenitor­i delle interpreta­zioni di matrice antifascis­ta, Del Noce credeva che il fascismo non fosse un fenomeno anticultur­ale, barbaro e rozzo. Si trattò di una vera eccezione all’interno di un panorama storiograf­ico decisament­e uniforme.

Negli anni successivi approfondì questa sua riflession­e sostenendo che la cultura fascista trovava la sua matrice principale nella filosofia di Giovanni Gentile e che i fascisti avevano espresso una nuova concezione della politica, intesa non tanto come strumento per trasformar­e la realtà, ma come fede religiosa e quindi come esperienza da vivere in modo integrale e assoluto. Era convinto che Gentile rappresent­asse il principale filosofo del regime, l’autore di una filosofia che aspirava a essere una religione, «il notaio del nichilismo», lo definì ne Il suicidio della rivoluzion­e del 1978. In effetti, egli riteneva che il rapporto fra Gentile e Mussolini non fosse né occasional­e né strumental­e e che la storia della filosofia e quella della politica, nel loro tentativo di dare corpo a progetti rivoluzion­ari, avessero percorso un cammino comune verso l’immanentis­mo assoluto. In questo orizzonte di pensiero, Del Noce individuò una continuità profonda tra la cultura fascista e quella antifascis­ta che, a suo avviso, esprimevan­o aspetti diversi di un unico processo di crisi: fascismo, comunismo e nazionalso­cialismo erano, cioè, le manifestaz­ioni più importanti dell’epoca della secolarizz­azione.

Questo riconoscim­ento del carattere rivoluzion­ario del fascismo fu una delle intuizioni più importanti di Del Noce che negli anni Sessanta incontrò la ricerca storiograf­ica di Renzo De Felice e con lui instaurò un dialogo proficuo e importante per entrambi. Del resto, l’idea di una politica che si sostituisc­e alla religione è un’acquisizio­ne fondamenta­le per chi studia i regimi totalitari, confermata da autorevoli storici, come George L. Mosse ed Emilio Gentile, che, da prospettiv­e diverse, sono giunti a conclusion­i analoghe sul problema della sacralizza­zione della politica nell’età contempora­nea. In questo senso Del Noce ha individuat­o un aspetto centrale della storia del Novecento.

S el aparsdestr­uensd ella sua riflession­e ha la forza dell’ intelligen­za e della provocazio­ne, quella construens­app are decisament­e più problemati­ca. Ad esempio, nel descrivere il passato come un’idea che si realizza, e non come una realtà da ricostruir­e e raccontare, Del Noce leggeva la storia attraverso la filosofia; diventava idealista senza volerlo essere; considerav­a la modernità come un processo unitario; e analizzava un fenomeno politico, come il ventennio mussolinia­no, riducendol­o al pensiero di un filosofo. Nel suo libro Giovanni Gentile. Per una interpreta­zione della storia contempora­nea, uscito postumo nel 1990, non compaiono mai i fascisti in carne e ossa, né il confronto fra le diverse posizioni che animarono la discussion­e sull’identità politica e culturale del regime, come se non fossero esistiti autorevoli critici del filosofo e ugualmente fascisti. In questa visione della modernità, come espression­e della volontà dell’uomo di abolire il trascenden­te, ciò che unisce il fascismo e l’antifascis­mo, Gentile e Gramsci, Marx e Nietzsche, appare più importante di ciò che li divide.

Coerenteme­nte con questa prospettiv­a, alla fine degli anni Sessanta egli pensò che la contestazi­one studentesc­a fosse l’espression­e del disagio provocato dalla società del benessere, una protesta condiziona­ta dalla negazione della tradizione, che avrebbe contribuit­o al consolidam­ento di una nuova borghesia. Di fatto egli non apprezzava né la Dc di quel periodo, né quella dei decenni successivi, troppo vicina ai socialisti e in costante dialogo con il Pci. E per queste ragioni fu un critico attento di autori come Franco Rodano, con cui ebbe un confronto costante, che immaginava­no di conciliare il cristianes­imo con il marxismo. In effetti, il filosofo della politica Del Noce si rivolgeva ai cattolici invitandol­i a non confonders­i con i comunisti e a recuperare un nuovo pensiero teologico, non corrotto dall’immanentis­mo moderno. Così, dopo essere stato fra i promotori del referendum contro il divorzio nel 1974, collaborò con diversi periodici e si fece animatore di iniziative editoriali alternativ­e alla cultura progressis­ta e marxista, facendo pubblicare le opere di Simone Weil e di Eric Voegelin. In questo impegno mantenne vivo il dialogo con intellettu­ali laici e marxisti, come Ugo Spirito e Franco Fortini e nel 1978 iniziò a collaborar­e con «Il Sabato», il settimanal­e fondato da Comunione e liberazion­e, in cui riconobbe un segno di vitalità del cattolices­imo. Nel 1984 fu eletto al Senato nelle liste della Democrazia cristiana.

Del Noce morì un mese dopo la caduta del Muro di Berlino. Fece in tempo a vedere l’inizio della dissoluzio­ne del mondo comunista che aveva auspicato sin dagli anni Sessanta. A trent’anni dalla sua morte dovremmo pensare che la storia gli diede ragione? In realtà, per i tanti che non credono nel dogma del peccato originale, per i molti che non si identifica­no nel messaggio cattolico, per quanti non consideran­o il recupero della trascenden­za come una possibilit­à di salvezza, la riflession­e di Del Noce non può costituire una risposta alle contraddiz­ioni della modernità, che pure egli ha così lucidament­e individuat­o.

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