Corriere della Sera - La Lettura
1920, l’ispirazione era fuoco vero
Testimoni Un narratore di 106 anni va alle origini della sua avventura creativa (nella lingua madre: lo sloveno). Che non è esaurita
La letteratura allunga la vita? Può darsi, anche se, sinceramente, non ho mai pensato all’età né quando ero giovane né ora che sono centenario, per fortuna in buona salute. A parte la vista ormai molto scarsa, specie da un occhio. Ma, non essendo più in grado di scrivere sulla mia Remington (che ha ormai quarant’anni), rimedio dettando parole e pensieri.
Purtroppo non posso leggere i giornali e allora ascolto la radio slovena di Trieste. Trovo programmi di mio interesse e ricevo nuovi stimoli. Di recente, si parlava del poeta tedesco Friedrich Schiller, amico di Goethe, del senso per la libertà. Dalle sue opere traspare la difficile lotta di quanti vogliono sottrarsi a un dominio. Tema a me molto caro. Ha scandito tutta la mia esistenza, dai 7 anni in poi quando, con la sorellina minore, vidi le alte fiamme che bruciavano il Narodni Dom, la Casa della cultura slovena. Era il 1920, opera dei fascisti, l’inizio della persecuzione contro noi sloveni. Quel momento per me significò la fine del mondo, la privazione della libertà. Altre drammatiche vicissitudini mi avrebbero colpito da adulto.
Da qui, credo, nacque il mio talento letterario. Mi sono scoperto scrittore dopo l’esperienza nei campi di concentramento nazisti; e sono diventato tale per reagire, per dare testimonianza. Cominciai a pubblicare alcune novelle nel 1948, rigorosamente nella mia lingua madre. Una scelta di campo, considerato che mi laureai a Padova in Letteratura italiana. Materia che, per vivere, ho anche insegnato. Voglio dire che potrei scrivere in italiano; ma non rinunciare al proprio idioma significa libertà. Per me fu naturale. Dall’esordio, e così nel corso degli anni successivi, prima e dopo l’essere «riconosciuto» come autore. Non nego, tuttavia, che conoscere la lingua italiana mi ha permesso di apprezzare la sua letteratura, facendomi incontrare Dante, Petrarca. E Alessandro Manzoni, verso cui va il mio tributo non solo per lo stile linguistico delle opere ma anche per le sue idee, per i messaggi che ci trasmette. Al riguardo, fra il triestino Italo Svevo e Manzoni preferisco il secondo.
In verità, una volta ho «tradito» la mia lingua. Accadde nel 1993 quando pubblicai una monografia in italiano, dedicata al poeta sloveno Srecko Kosovel, deceduto nel 1926 a soli 22 anni (l’editore era Studio Tesi di Pordenone). Veniva considerato erroneamente un poeta locale, mentre era un grande. Cambiai registro, una volta tanto, per rendergli merito e maggiore visibilità.
E oggi? Se mi si chiede che cosa scrivo (in sloveno), dettando, dico che mi piace fissare i fatti più significativi che mi succedono. Negli scorsi mesi, per citarne uno, sono venuti a trovarmi a Trieste due giornalisti delle Bbc. Volevano raccontare di me e dei luoghi legati alla mia vita. Forse c’entra la veneranda età? Non so, io guardo avanti.
L’autore La visualizzazione è realizzata da Davide Mancino (1983), information designer; il suo profilo Twitter è @davidemancino1