Corriere della Sera - La Lettura
C’è una Brexit che travolge anche le coppie
Turbolenze familiari/ 1 Nick Hornby raccoglie in volume la sceneggiatura (che non è solo una sceneggiatura) di una serie tv: dieci puntate, di dieci minuti ciascuna, per dieci capitoli di dialoghi tra Tom e Louise, marito e moglie parecchio in crisi
Avevamo cominciato a conoscere e amare Nick Hornby negli anni 90, quando nei suoi primi romanzi ci raccontava le storie di un eterno ragazzo (lui stesso?) che non voleva responsabilità e non aveva intenzione di crescere. Due erano le sue passioni, vere e destinate a durare: il calcio, o meglio, l’Arsenal ( Febbre a 90’), e la musica ( Alta fedeltà). Nick, appunto, l’io narrante del primo, dall’età di 11 anni non si era perso una partita della sua squadra, diventando così — campionato dopo campionato, delusione dopo delusione — parte di un gruppo, di una vera famiglia unita da uno stesso grande sentimento. Poi, nei panni di Rob, l’avevamo ritrovato gestore di un negozio di vinili vintage dove i clienti, pochi, avevano il dovere di condividere con lui gli stessi gusti per piccole band quasi sconosciute che solo una minoranza illuminata poteva apprezzare. Fu, Alta fedeltà, un libro-manifesto, una lettura influente, anche perché proponeva la regola del 5, una sorta di personale hit parade non solo di film, dischi eccetera, ma anche e soprattutto sui casi della vita, amori e altre fregature. Infine, arrivò Will ( Un ragazzo), sfacciato perdigiorno che scopre che il miglior modo per rimorchiare è quello di frequentare i gruppi di ragazze madri fingendosi un padre single.
Ora, tanti anni e libri dopo, l’eterno Peter Pan è diventato grande, a modo suo. Critico musicale senza più lavoro («non avevamo previsto l’arrivo di internet»), Tom gira per casa in vestaglia, coltiva il progetto di una biografia del jazzista Horace Silver che non sarà mai scritta, ha problemi su come riempire il tempo. È sposato con Louise, biologa che lavora nel reparto di geriatria di un ospedale, hanno due figli che ormai se la cavano da soli. Il matrimonio è diventato una convivenza stanca, senza sorprese, senza sesso. Almeno fino a quando Louise gli dice che lei è andata a letto con un altro, poche volte, tre-quattro, non di più. Non le è piaciuto, ora vorrebbe capire cosa non va nel loro matrimonio, se è ancora possibile ripararlo. Così vanno da una psicologa che fa terapia della coppia, e ogni volta, per una decina di minuti prima dell’appuntamento, siedono nel pub davanti per decidere gli argomenti di cui discutere. Lui beve una pinta di London Pride, lei un bicchiere di bianco. Osservano, dalla vetrina, la coppia della seduta prima e lui prova a indovinare se la terapia con loro funziona.
Il libro si chiama Lo stato dell’unione (il riferimento ironico al discorso annuale del presidente Usa è voluto) e si divide in dieci parti, tanti quanti sono gli incontri. E quante sono le puntate — dieci minuti ciascuna — della serie con la regia di Stephen Frears trasmessa, prima, su Sundance Tv e poi in Gran Bretagna su Bbc 2.
Nel libro, Tom e Louise parlano delle cose che hanno in comune, i cruciverba del «Guardian», Il Trono di Spade («fino a quando è andato in onda») e naturalmente i figli. A lui, però, non va bene che Louise resti a lungo con la luce accesa, la sera a letto, per leggere gialli scandinavi: «Mi chiedo quante donne svedesi debbano ancora essere ammazzate». Lei, da anni, continua a vedere la serie della Bbc
L’amore e la vita che Tom detesta. Da parte sua Louise non sopporta i film in bianco e nero, e il modo che ha Tom di essere vago, ipotetico, mai chiaro con un sì o un no. Certo, c’è stata la breve avventura di lei con tale Matthew: Tom, dice lei, la annoiava, non facevano più sesso, tutto era troppo stanco. Ma anche il referendum sulla Brexit è stato un duro colpo per la coppia, perché Tom, quasi solo per fare dispetto a lei e ai suoi amici europeisti di sinistra, ha votato perché la Gran Bretagna uscisse dall’Europa. Lui ora prova a scherzarci sopra: «Siamo qui per realizzare una Brexit coniugale», ma Louise non ci trova niente da ridere.
Nei dialoghi fra i due, Hornby si diverte a inserire rapide frecciate contro la cosiddetta cultura alta. Che è sempre Tom a pronunciare: «Qui potrebbe cominciare un film di Bergman», implicito riferimento ai 300 minuti della serie tv Scene
da un matrimonio. Oppure, dopo che, alla nona settimana di terapia, sono andati a letto insieme, e lei gli chiede se per lui è stata« una perdita d item po», Tomrisponde :« Beh, avrei potuto leggere Proust», ma subito aggiunge che è stata un’esperienza perfetta. La situazione, comunque, migliora, il blocco sembra superato e finalmente Tom può chiederle se con Matthew, a letto, è andata meglio che con lui. Del resto, è Louise che gli dà la grande soddisfazione di ricordarsi il nome di chi gridò «Giuda!» a Bob Dylan quando, nel 1965, al Newport Folk Festival, si presentò con una chitarra elettrica.
Lo stato dell’unione non è una semplice sceneggiatura, ma ha, pur nella cadenza delle puntate, una dimensione letteraria. E la bravura di Nick Hornby sta anche nel farci vedere, solo con le battute del dialogo, come sono Tom e Louise. Non ci sono descrizioni. Di lei si dice una volta sola che ha una maglia scollata e un po’ di trucco, le altre volte la immaginiamo con i vestiti di chi esce dal turno dell’ospedale. Anche Tom un giorno si dà una sistemata: capelli tagliati dal barbiere, una camicia nuova, una giacca sportiva un po’ stretta. E sinceramente gli secca un po’ il fatto che lei non noti quel suo look.
In queste settimane di colloqui, il lettore diventa un po’ come un guardone che spia le vite degli altri. Ma frugando nei panni sporchi di Tom e Louise corre il rischio (calcolato) di rivedere, rivivere scene della propria vita che forse aveva cercato di dimenticare.