Corriere della Sera - La Lettura
La vita, cioè un F-16 in cortile e una pia spogliarellista
«La generosità della sirena» è l’ultimo libro di Denis Johnson
Quando si dice che una cosa è troppo bella per essere vera si incorre nel peccato di truismo. Peccato veniale se lo si fa senza pensarci troppo, mortale se lo si commette con convinzione. Non per la trita questione delle alterne vicende matrimoniali tra verità e bellezza — storia vecchia. Il punto è nella parola «troppo». La bellezza è sempre qualche cosa di troppo, un eccesso che lascia resti misteriosamente persistenti, a volte può perfino cambiare il corso di una vita.
Questi i pensieri che si impongono con la forza delle evidenze incontrovertibili alla lettura dei cinque ultimi mirabolanti racconti di Denis Johnson, raccolti in La generosità della sirena e ottimamente tradotti per Einaudi da Silvia Pareschi, con cui l’autore di Albero di fumo e di Jesus’ Son si è congedato da noi: non ce ne saranno altri, anche se riesce difficile da credere. Racconti in cui appare l’eccesso, che tutti nelle nostre vite (e ahimè nella gran parte delle nostre letterature) crediamo di dover in un modo o nell’altro giustificare, contenere, esorcizzare: fatti vedere, ma restatene a distanza di sicurezza.
Nessuna distanza di sicurezza in Denis Johnson. Tutto esplode di continuo con noialtri potenziali collateral. «Finché un giorno Carolina dice “Linda, NON SONO ARRABBIATA LINDA BRUTTA TROIA SCHIFOSA DEL CAZZO”, e così via, e poi è schizzata fuori dalla stanza, ha percorso il corridoio e ha attraversato il cortile come un F-16» (anche chi non ha militato in aviazione sa quanti danni può fare un F16). Oppure, al contrario, una strana, inspiegata pacatezza: «Ehi, dico a voi, prima di sposarmi ho fatto la puttana a Denver, da Madam Lafayette, per quasi sei anni, finché la tecnologia e la mafia hanno rovinato gli affari con le carte di credito e i centri massaggi», passo su cui si potrebbe sociologizzare all’infinito, internet e la fine del lavoro in tutta la loro verità dal più improbabile dei punti di vista — ma sarebbe un peccato, non è meglio lasciare che la frasi risuoni da sé?
Pubblicitari in disarmo che vedono la vita scivolargli dalle mani con una riconoscenza, una liberalità di cui sarebbe bello ma non è possibile copiare il segreto. Internati in un centro di recupero per le dipendenze che scrivono lettere a Satana o Giovanni Paolo II. Scrittori e poeti ossessionati da doppi, poltergeist e fantasticherie paranoiche: sarà stato davvero Elvis Presley o non il suo gemello nato morto a subire la degradazione che da giovane ribelle ermafrodito e pansessuale ne ha fatto, via l’arruolamento nell’esercito, un grasso eunuco impotente che non imbrocca più una canzone? No, è necessario come minimo ipotizzare una setta di satanisti. E se un romanziere morente asserisce che due amici trapassati da tempo sono venuti a tenergli compagnia è tutto sommato giusto credergli, il fatto che noi non li vediamo è un dettaglio senza importanza, niente ci dice che non abbia ragione lui invece che noi. Non è forse vero, d’altronde, che una spogliarellista ha alleviato per dodici anni la sofferenza di un condannato nel braccio della morte sposandolo e facendogli credere di essere una pia donna in modo da lasciare che se ne vada da marito fiero e felice? Manca solo il perché, meglio così. Oppure quando una nostra ex moglie ci chiama per dirci che sta morendo, e che è finalmente riuscita a perdonarci, e a noi viene il dubbio che non sia Ginny, la prima, ma Jenny, la seconda, fino a quando non ci rendiamo conto che è lo stesso, le scuse sono state sincere e i torti grosso modo gli stessi con entrambe. O infine se l’ultimo addio viene a darcelo una malata di Alzheimer, che chissà perché ha dimenticato tutto, compreso il nome dell’attuale marito, ma il nostro nome no.
Quando tutto è perduto, tutto ha significato e le cose stesse si comportano come per s onaggi , un pomeriggio, per esempio, che si toglie la maschera, una tempesta che si dà da fare per tenere bordone al suo meglio a una crisi respiratoria.
Mica facile da accettare, per una società convinta che l’unico imperativo categorico sia trattenere il più possibile quello che si ha. Ci vorrebbe la generosità di una sirena (ma Largesse, nel titolo originale in inglese, è molto più che semplice generosità, è anche dono, spreco, smodatezza, dissipazione). Che non ci faccia difetto almeno la gratitudine, allora, di cui tutti i personaggi drop out di Denis Johnson riescono incredibilmente a dar prova anche nelle situazioni più estreme e irreparabili. Non c’è niente da riparare. Il paradiso non è precluso da nessun angelo con la spada fiammeggiante. È solo che decide lui quando arrivare, e quanto restare.
Che non sia eterno è una circostanza su cui non è generoso lagnarsi.