Corriere della Sera - La Lettura
Un ragazzo chiamato risciò
La prima edizione integrale del capolavoro di Lao She
In ogni città esiste un Xiangzi e ogni città impara a riconoscerlo. Non può che essere altrimenti, perché per il protagonista de Il ragazzo del risciò l’«unica amica era questa vecchia città»: cioè «quella era casa sua, tutta la città era casa sua». È Pechino infatti l’altro personaggio principale del capolavoro di Lao She (1899-1966), nato Shu Qingchun, uno dei massimi autori cinesi del Novecento, rientrato dagli Usa per partecipare alla nascita della Repubblica Popolare di Mao e suicidatosi al principio della Rivoluzione culturale dopo gli abusi delle Guardie rosse: un destino tragicamente esemplare.
Nel grembo di una Pechino insidiata dalla guerra e dal caos l’orfano Xiangzi cerca «la sua posizione, come se fosse una vite all’interno di un ingranaggio» perché «se ne era andato in città portandosi dietro la sua onestà e il suo vigore di ragazzo». Non finirà bene: è un apologo amaro quello di Lao She, intento a plasmare «il primo eroe proletario nella storia della letteratura cinese dell’epoca moderna», come nota Alessandra C. Lavagnino, che del libro (1936-37) ha curato la prima traduzione integrale in italiano dal mandarino. Per Xiangzi il risciò è «una parte di lui stesso», strumento d’emancipazione attraverso il quale può arrivare a pensare «che vivere era una cosa meravigliosa». Il risciò è vita. Ecco perché quando i soldati glielo requisiscono l’ascoltiamo gridare: «Con che diritto?»; e perché più avanti ripete: «Io voglio continuare a tirare il risciò». Un mestiere-metafora, il suo. In un romanzo non a tesi, ma al contrario sfumato, delicatissimo. E pieno di presagi, persino nell’amore: «Quanto successo quella notte lo riempiva di dubbi e di vergogna, di disagio, incutendogli anche un certo senso di pericolo».