Corriere della Sera - La Lettura
Milano, un violino: il sogno della coppia rom
Fernando Coratelli intreccia tre storie attorno a due giovani in cerca di futuro
Il giovane Stoian con il suo violino e la bella moglie Stéphka partono dal popoloso ghetto rom di Stolipinovo in Bulgaria verso altri Paesi europei in cerca di un futuro che manca dalle loro parti. Inizia così Alba senza giorno, nuovo romanzo di Fernando Coratelli e prima uscita narrativa della casa editrice Italo Svevo, in una variante gitana del classico inseguire un sogno che corre sempre un po’ più in là di dove si arriva: prima a Berlino, poi a Parigi e Metz, infine a Milano.
Il viaggio della coppia dà la linea principale alle vicende del romanzo ed è affiancato da altre due storie milanesi parallele: quella di Martina, madre separata della piccola Alice, la cui mamma Roberta diventa animatrice dei presidi contro il campo rom sotto casa, e quella di Tonino Cortale, sicario della ’ndrangheta residente a Buccinasco, incaricato di vendicare un assassinio colpendo il figlio, studente universitario, di una ’ndrina rivale. Le tre storie partono da distanze temporali diverse — un anno per la coppia, sette mesi per Martina, quindici giorni per il killer — rispetto a un giorno di maggio in cui convergono in pochi drammatici minuti, ispirati a un episodio di cronaca che non citiamo per evitare spoiler, che danno un ottimo impatto narrativo al finale rimettendo in gioco le certezze di tutti i protagonisti.
Coratelli, come già nel precedente La resa (Gaffi, 2013), gestisce bene il montaggio di più storie ma, al di là del ritmo sicuro nella costruzione dell’intreccio, non manca la capacità di approfondire certi temi e toni attraverso i personaggi. Se lo spessore di Tonino è ben reso e inquietante, tra vita familiare e criminale, il rapporto tra Stoian e Stéphka è il più bello, anche per un tono romantico e avventuroso, come quando a Berlino il ragazzo suonando il violino incanta la clientela di un ristorante e lei raccoglie le offerte che valgono la prima cena. Il problema è che alle loro spalle si muove qualcosa di più grande: l’Europa e la gestione dei rom e degli immigrati. La Germania sembra il Paese più accogliente, dove i due arrivano a casa di un lontano parente che fa l’idraulico, mentre in Francia, nel campo attrezzato di Aubervilliers, l’ambiente umano è diverso, i poliziotti più aggressivi e le etnie numerose, per finire poi in Italia, dove certo il clima politico è peggiore, a Milano, proprio nel campo vicino a
Roberta, la madre di Martina.
È nello sguardo di quest’ultima che si incontrano il sicario — che ha traffici con il notaio per cui lei lavora — e la coppia che ogni sera ascolta in metro mentre suona chiedendo l’elemosina. «Quel futuro forse è lì — sottolinea il narratore a proposito di Stoian — è quello il nuovo giorno che spera da qualche tempo, un giorno luminoso che rischiari il suo cielo e quello di Stéphka». Quel cielo è rischiarato dalla domanda che pone la piccola Alice davanti alla nonna che insulta gli zingari: «Davvero quei signori sono tanto cattivi?». Lo sapremo solo, come accade a Martina, cambiando punto di vista.