Corriere della Sera - La Lettura
Fantasmi di sangue Ebrei eterni colpevoli
Le Sacre Scritture ebraiche proibiscono non solo di uccidere, ma anche di toccare i cadaveri, eppure a Pasqua gli ebrei sono accusati, a torto, di dividersi il cuore di un bimbo cristiano. Se in qualche posto viene trovato un cadavere, gli ebrei sono perfidamente accusati di omicidio e con questo pretesto vengono perseguitati, spogliati dei loro beni e torturati. Le parole qui sunteggiate non sono di un apologeta ebreo, si trovano in una bolla di papa Innocenzo IV del 1247. Eppure si presentano come una specie di cronaca di quanto sarebbe avvenuto a Trento nel 1475.
L’accusa antiebraica di usare il sangue cristiano per scopi magico-rituali è attestata in Europa a partire dalla metà del XII secolo; proseguì per centinaia di anni. Le reiterate smentite da parte del magistero pontificio rientrano nella sfera delle «grida manzoniane». Specie in area tedesca e alpina, l’accusa di omicidio rituale restò fortemente radicata. Una dozzina di anni fa il libro di Ariel Toaff Pasque di sangue (il Mulino) non ne escluse, in alcuni casi, la fondatezza. Le polemiche furono accesissime.
La prevalente collocazione pasquale dell’accusa di omicidio costituiva una specie di reiterazione degli eventi connessi alla morte di Gesù. Per l’antigiudaismo il versamento di sangue cristiano da parte di ebrei era considerato un atto dotato di atroce ambivalenza: da un lato questi presunti gesti costituivano un’implicita ammissione di quanto insostituibile fosse per gli ebrei il sangue di Cristo, mentre, dall’altro, evidenziavano l’assunzione diretta, a opera dei discendenti, della colpa dei padri che di fronte a Pilato gridarono: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» (Matteo 27, 25).
In Italia il caso più noto è quello di Simonino da Trento. Lo è per due ragioni