Corriere della Sera - La Lettura
Un film nella biblioteca dei libri rifiutati
Conversazioni David Foenkinos venne respinto da tanti editori, poi è diventato uno scrittore di successo e il suo romanzo sul caso di un autore improbabile è diventato un film, anche questo di successo, «Il mistero Henri Pick». Ne parlano lui e il regista
Trasmissione di libri in tv. Un ospite molto pieno di sé si infervora: «Lo dice Aristotele: “L’impossibile verosimile è da preferire al possibile non credibile”. Il che mi porta al problema successivo: ogni epoca non ha forse elaborato le sue proprie modalità di ibridazione tra realtà e finzione?». Il conduttore — impersonato da Fabrice Luchini — lo guarda tra il perplesso e lo spaventato, e lascia cadere lo spunto: «Ma passiamo rapidamente alle novità della settimana!». A casa, davanti alla tv, un autore e la giovane editrice e fidanzata aspettano il momento in cui il grande giornalista dedicherà qualche parola al loro romanzo d’esordio, ma c’è appena il tempo di annunciarne il titolo — La vasca da bagno — e partono i titoli di coda: «È tardi, ne parleremo un’altra volta, buona serata».
Comincia così, con una strizzata d’occhio affettuosa alle indimenticate trasmissioni letterarie di Bernard Pivot, Il mistero Henri Pick, il film di Rémi Bezançon tratto dal romanzo di David Foenkinos (Mondadori) che, dopo il successo in Francia, giovedì 19 dicembre arriva in Italia. È una commedia piena di humour e di garbo, ambientata nel mondo editoriale, tra le grandi maison francesi, da Gallimard a Grasset dello stesso Foenkinos, con scrittori veri e finti, ed editori alla ricerca ossessiva di casi letterari.
Abbiamo incontrato il regista Bez anço nel oscrit tor eFoenk in os per parlaredi letteratura, cinema e dico mesi a natala trama: in una sperduta località della Bretagna c’è una «biblioteca dei libri rifiutati», che raccoglie i manoscritti non pubblicati dalle case editrici. Una editor (quella della scena iniziale) vi scova un testo magnifico che diventa bestseller. L’autore è Henri Pick, il pizzaiolo del posto, scomparso da due anni. «E pensare che non l’ho mai visto scrivere niente, neanche la lista della spesa», dice la vedova commossa. Il giornalista Jean-Michel Rouche (Fabrice Luchini) non crede che Pick possa essere il vero autore e decide di risolvere il mistero aiutato dalla figlia del pizzaiolo, Josephine (Camille Cottin).
Qual è il rapporto tra il romanzo di Foenkinos e il suo film? «Con mia moglie Vanessa abbiamo preso il libro di David e abbiamo puntato sul personaggio del giornalista-detective, che nel film appare sin dal primo fotogramma e invece nel romanzo arriva dopo un centinaio di pagine», dice il regista Rémi Bezançon, autore anche della sceneggiatura assieme a Vanessa Portal. «Nel cinema — aggiunge — bisogna sempre semplificare, ridurre all’osso. Il romanzo ha molti personaggi, molte storie d’amore, a me interessava concentrarmi soprattutto sull’inchiesta. Non c’è da scoprire un assassino ma chi è l’autore di un libro, mi piaceva giocare con i codici del thriller ma senza farne una caricatura». Il mondo editoriale è raccontato con qualche frecciata, ma non è una parodia. «No, non mi interessava fare un film di denuncia né una farsa. Ma conosco quel mondo, mia moglie Vanessa ci ha lavorato per anni, e ci siamo divertiti a narrare la mania di raccontare, montare, amplificare i retroscena di un testo, senza accontentarsi della sua bellezza».
È una commedia riuscita anche grazie alla straordinaria coppia di protagonisti, Fabrice Luchini e Camille Cottin, già visti nel secondo episodio della seconda stagione di Chiami il mio agente!. «Quando ho parlato del mio adattamento a David, gli ho detto che il personaggio del giornalista mi sembrava perfetto per Fabrice Luchini e lui è stato immediatamente d’accordo. Glielo abbiamo proposto sapendo che non era facile, Luchini è un mostro sacro che rifiuta decine di proposte, ma ha accettato. E a quel punto è stato lui a proporre Camille Cottin come coprotagonista. L’aveva conosciuta il giorno prima sul set di Chiami il mio agente! e voleva lavorare ancora con lei».
Com’è stato girare con Luchini? «È ossessionato dal lavoro, non ho mai visto un attore che si impegna così tanto. Due mesi prima l’inizio delle riprese mi chiamava al telefono per recitarmi alcune scene e chiedermi che cosa ne pensavo. Uno dei cineasti che ammiro di più, Éric Rohmer, diceva che al cinema la voce è fondamentale e credo avesse ragione. Oggi molti si dedicano solo all’immagine, credo sia un peccato».
L’idea che regge il film è la biblioteca dei libri rifiutati. Come è venuta all’autore del romanzo, David Foenkinos? «Ho scoperto questa biblioteca in un testo dello scrittore americano Richard Brautigan. Dopo la sua morte un fan l’ha anche creata negli Usa. Io ne ho inventato la versione francese, in un paesino della Bretagna. M’ha appassionato quest’idea di una biblioteca per i rifiutati e i depressi della letteratura. È sempre affascinante immaginare che forse ci siamo persi dei capolavori. E penso anche ci siano davvero degli artisti che non cercano la luce e il successo». Come ha reagito quando le prime case editrici rifiutavano i suoi manoscritti? «L’ho trovata una cosa assolutamente normale. Quando muovevo i primi passi nella letteratura non avevo alcuna fiducia in me stesso. Il mio primo romanzo è stato rifiutato ovunque, ed è stato un grande choc per me quando Gallimard, la casa editrice più prestigiosa di Francia, mi ha chiamato per pubblicarlo».
Il caso di Marcel Proust, rifiutato da Gallimard, può servire da consolazione e incoraggiamento per gli aspiranti scrittori? «Naturalmente — dice Foenkinos — anche perché non è il solo, da Céline a Stephen King. È difficile sapere in anticipo che cosa lascerà il segno nella storia della letteratura. Quando un editore rifiuta un libro esprime solamente il suo gusto personale, non può mai essere un giudizio definitivo su un’opera». Nel suo romanzo lei prende un po’ in giro il mondo dell’editoria, di cui è lei stesso uno dei protagonisti, con decine di romanzi pubblicati in oltre quaranta lingue. Che cosa pensa per esempio dell’ossessione per il «romanzo del romanzo», cioè costruire una storia appassionante attorno alla nascita di un libro? «Non è qualcosa che nasce oggi, c’è sempre stato un gusto per il romanzo del romanzo, per l’autore dietro il libro. Françoise Sagan negli anni Cinquanta affascinava per ciò che scriveva ma anche per la giovinezza insolente. Non bisogna contrapporre il marketing al talento. Nel mio romanzo mi divertiva l’idea che il capolavoro fosse stato scritto da uno sconosciuto pizzaiolo bretone. Si scopre solo alla fine se sia davvero lui ad avere scritto il libro o se si tratti di un colpo del marketing». E che cosa pensa dell’adattamento cinematografico del romanzo? «Ne sono entusiasta, Bezançon ha fatto un lavoro fantastico e il successo del film in Francia mi ha reso felice. È fedele allo spirito del libro ma allo stesso tempo il film è più palpitante, perché tutto poggia su un mistero. E poi la coppia Fabrice Luchini-Camille Cottin è geniale. Spesso gli autori di romanzi trasportati al cinema sono molto depressi per il risultato, non è per niente il mio caso, anzi. Libro e film sono complementari».