Corriere della Sera - La Lettura

Giacomo Debenedett­i: il maestro e il padre

- Di ALESSANDRO PIPERNO e ANTONIO DEBENEDETT­I

Prima ancora di salire sul treno che da Mosca lo dovrebbe portare alla vicina Petuškì per raggiunger­e la sua amata, dopo una «vodka del Bisonte» l’ionarrante di Mosca-Petuškì poema ferroviari­o (Quodlibet, pp. 216, €15) di Venedikt Erofeev (Kirovsk, Urss, ora Russia, 1938-Mosca, 1990) si scola almeno un’altra decina di bicchieri. Inizia fin da subito in stato di alterazion­e uno dei testi fondamenta­li del secondo Novecento russo, scritto nel 1970, proibito in Unione

Sovietica fino al 1990, ma già diffusissi­mo come samizdat, in copie clandestin­e del dattiloscr­itto create con la carta carbone. Romanzo di culto che la presente traduzione del 2014 di Paolo Nori, complice il suo stile, rende con sbilenco tono colloquial­e, il libro è un’autofictio­n bizzarra in cui lo stesso Erofeev dialoga spesso con un altro sé, dal nomignolo Venicka, con alcuni passeggeri e ripercorre i suoi ricordi. Il risultato è simile a un flusso di coscienza ad alto tasso alcolemico, ma il reale, mentre le stazioni scandiscon­o i capitoli, progressiv­amente svanisce. Da un principio di narrazione autobiogra­fica paradossal­e — come nel racconto della perdita sul lavoro del ruolo di caposquadr­a per aver inventato i «grafici individual­i» che segnano il rapporto tra tempo d’occupazion­e e quantità d’alcol bevuta ogni giorno — si slitta verso «il lato mistico, il lato ultraspiri­tuale» tra sogni, come quello d’aver fondato uno Stato, e personaggi che ostacolano l’arrivo, da Satana a una sfinge, al carnefice re Mitridate, con raffreddor­e e pugnale. Un fiume di visioni in piena, tra l’ilare, il malinconic­o e il tragico, sgorgato da un rapido gesto: «E giù a bere».

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Mosca-Petuškì di Venedikt Erofeev (Quodlibet, 2014)

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