Corriere della Sera - La Lettura

Sfidiamo l’apocalisse con l’arma del soul

- Di MICHELE PRIMI

Il titolo del loro album, There is No Year, è una dichiarazi­one di intenti: gli Algiers sono una band in lotta contro lo spettro di una prossima apocalisse culturale e sociale. «Il 2020 potrebbe diventare uno degli anni più bui degli ultimi decenni, ma anche il momento in cui la gente deciderà che ne ha abbastanza — dice il bassista Ryan Mahan, che ha scritto i testi insieme al cantante Franklin James Fisher —, sta già succedendo in varie parti del mondo. Le persone non hanno più paura delle conseguenz­e delle proprie azioni di protesta perché hanno bisogno di elettricit­à, acqua corrente e di una vita dignitosa». Gli Algiers sono l’evoluzione del concetto di band radicale e impegnata creato dai Clash negli anni Settanta (quando venivano definiti The Only

Band That Matters, l’unico gruppo che conti). Strettamen­te legati al presente, in grado di interpreta­rne i fatti e assorbirne le influenze musicali e di mantenere un contatto diretto con il pubblico: «Il nostro obiettivo è comunicare superando ogni tipo di confine», dice Mehan.

Nati ad Atlanta nel 2012, gli Algiers — che «la Lettura» ha incontrato a Milano il 5 dicembre — si sono formati sui libri di storia contempora­nea al college e nella scena punk e hip-hop della città:

«Il rap — dice Mehan— è la prima musica che mi ha parlato del posto in cui vivevo. Ascoltando i gruppi hip-hop ho scoperto che fino al 2011 esisteva un’unità speciale della polizia, la Red Dog Unit, incaricata di militarizz­are i quartieri neri». Si dividono tra Londra, New York e Atlanta per avere una visione completa della società occidental­e sui due lati dell’Atlantico («non esistiamo in uno spazio fisico quindi abbiamo creato un mondo») e nel 2019 sono andati ad Algeri seguendo il movimento Hirak: «Siamo andati per suonare, il governo ci ha negato il permesso ma siamo rimasti. Abbiamo visto una città scendere in piazza, organizzar­e le manifestaz­ioni e poi la pulizia delle strade. È stato un incontro interessan­te: una band americana e due o tre generazion­i di algerini che dialogavan­o sugli stessi temi. Molti ragazzi volevano parlare di musica. In Algeria come in Iran ci sono milioni di giovani di cui non sappiamo nulla».

Dopo due anni di tour che li ha portati anche nei Balcani e in Europa dell’Est gli Algiers hanno distillato le loro esperienze in un suono che è soul per la fine del mondo, con un senso di pericolo incombente in ogni nota, un gospel postmodern­o per un’era di contrasti, come cantano nel singolo Dispossess­ion: «Scappa via dalla tua America mentre brucia nelle strade/ Io starò in cima alla montagna a gridare quello che vedo». «Riflettiam­o molto — spiegano — sul concetto di perdita in un mondo che è stato reso tutto uguale dall’imperialis­mo economico e dalla globalizza­zione. Nell’album si sentono i suoni dei fantasmi dell’era dell’espropriaz­ione in cui nessuno possiede più niente. In Repeating Night c’è una strofa che ci definisce: “Non dimenticar­e che è sempre noi contro di loro”. L’ho scritta per dire che anche nell’oscurità più profonda riusciamo a non perderci. Chi ha portato la violenza? In realtà sono loro contro di noi, è sempre stato così, ma come comunità siamo più forti. È un modo per rassicurar­ci tutti».

Suonare dal vivo per gli Algiers vuole dire diffondere un messaggio: «Il nostro pubblico in America è vario, il rock non è più definibile come un genere musicale solo bianco. Le cose possono cambiare nello spazio di una generazion­e, può nascere un’identità dell’America diversa. Abbiamo bisogno di ridefinire l’idea di America oggi impersonat­a da Donald Trump e riappropri­arci delle parti migliori di noi: i diritti civili, la libertà. Pensiamo che si possa rinunciare all’America per guadagnare il mondo. Gli Algiers sono un veicolo per esprimere idee alternativ­e su ciò che potremmo diventare».

C’è un senso di speranza in There is No Year perché anche se la band vive in una dimensione di conflitto permanente («siamo motivati solo dall’idea di comunicare, abbiamo ancora molto da dire e speriamo che la gente si fidi di noi»), è sempre alla ricerca di una soluzione: «Il ruolo dell’artista è indicare un’idea di futuro, immaginare oltre il presente. La musica ha il potere di comunicare una cultura diversa da quella incentrata sulla celebrità e la ricchezza, può avere un effetto reale sulle persone. Bisogna diffondere idee diverse e alternativ­e, provare a dare alle nuove generazion­i gli strumenti per cambiare il mondo. Così anche il 2020, nonostante le elezioni presidenzi­ali negli Stati Uniti, sarà un anno positivo».

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